Dopo aver tirato sul prezzo, compro da un rigattiere genovese di passaggio a Narni un cofanetto di latta della Sperlari. Mi assicura che è vecchio di almeno cinquant'anni e che il proprietario, un sarto di Bordighera, finite le caramelle ci teneva i ferri del mestiere. C'è una serraturina che apre lo scrigno ma la chiave s'è persa. Belìn, ti faccio lo sconto - insiste lui a vedermi titubante, e questa gara tra la sua taccagneria congenita e la mia occasionale ha un che di duello rusticano. A casa, quando tutti son via e la pace si installa nelle stanze come un antivirus nel pc, mi dedico alla mia lampada di Aladino. Prima di rompere il lucchetto la sfioro come per risvegliare un genio, passo le mani sulle superfici bombate, rosse fiammanti, istoriate con bordature color dell'acciaio. Poi forzo l'apertura con un cacciavite - stando attendo a non rigare quel capolavoro che sembra che l'ha fatto Benvenuto Cellini - e inizio a pescare. Vengon su bottoni di madreperla, ditali di rame, rocchetti, passanastri e alamari, e sono un po' deluso: cercavo una sorpresa, una cosa che non c'entri niente colla sartoria. Quando sto per darmi per vinto le dita toccano, in fondo a tutto, un foglio di carta: è scritto con una grafia storta epperò leggibile. È una lettera, c'è la data: 1967. Ha i miei anni. Un certo Ludovico l'ha evidentemente indirizzata al sarto e lui l'ha conservata là dentro per un gran pezzo di tempo. Ludovico scrive di aver confessato alla moglie di averla tradita. Chiede consiglio al suo amico - dovevano essere amici sul serio per una intimità del genere. Non sa cosa fare. Non sa cosa fare perché il tradimento non è reale, se l'è inventato. Voleva allontanarla da sé e non trovava altro modo. Le ha detto di avere un'altra donna ma è una fantasia. Lei mi ama troppo - scrive Ludovico: - è una forma di amore esagerata, asfissiante. Non sono in grado di viverla. Ora che è tornata dai suoi mi sento in colpa. Che faccio, le dico che è tutta una bugia o lascio le cose come stanno? La lettera chiude a quel modo, con quella domanda, di colpo. Niente saluti, nessun grazie, solo la firma. Non saprò mai com'è andata a finire, se il sarto gli ha risposto, all'amico, o se ha scelto di ignorare tutto. Sono un po' turbato, mi alzo dalla scrivania, giro per casa, con la testa vuota. Rimetto il foglio nella sua cassaforte, lo seppellisco sotto quelle cianfrusaglie superstiti, a difesa della verginità di quella storia terribile. Sistemo il cofanetto tra le costole della libreria, lontano dagli occhi di chiunque: dietro Sartre e Kipling, dietro una fila di romanzetti scemi. E alla fine esco a cercare chi mi possa assolvere dalla mia avidità di cacciatore di storie.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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