Io e questa erba siamo nati insieme, io e queste pietre impilate a forma di casa siamo nati insieme, io e certe mutazioni, io e certe canzoni, abbiamo spartito la stessa epoca. E i viaggi che ho fatto li ho fatti in posti intonati alla mia anima - quasi tutti - e ovunque mi sono incantato a guardare la bellezza, perché la bellezza e io abitavamo la medesima stagione, cosa che sa di miracolo. Non vorrei essere nato in un altro tempo, neanche potendolo scegliere; al massimo ci vorrei fare un salto ogni tanto, per un caffè con Italo Svevo, un viaggio in diligenza da Sacramento a Salt Lake city, una notte a Alessandretta assediata dagli arabi. Poi il rientro, in questi panni e in questi guai: tanto mi piacciono le smanie che mi procura la modernità che non potrei farne a meno. Eccomi - mi vedete? - perfettamente incasellato nel mio destino, nei miei anni, nella mia città, a respirare vento e ammoniaca eppure grato al caos perché ne posso parlare, all'ingiustizia perché se scrivo posso provare a combatterla. Combattere: che verbo necessario. C'è questa grande fortuna che ci hanno messo al mondo. E c'è quell'altra - che alcuni avvertono, non tutti - che il panorama ci emozioni, stordisca, curi. Ognuno nasce quando può essere più felice, con i talenti che ha, e le ambizioni; ognuno nasce con le persone giuste attorno. Già le persone, altro incidente fortuito solo in apparenza. Ho conosciuto un uomo che ha aspettato tutta la vita, di redimersi: ero sotto le armi, lui era un vecchio ufficiale venuto a salutare la truppa, diedi un paio di ripetizioni telefoniche a sua nipote, diventammo amici. La sera prima del mio congedo mi raccontò che aveva tradito la moglie, quando aveva trent'anni. Ne erano passati altri quaranta, non si dava pace. Poi a un certo punto gli era venuto il cancro, sembrava dovesse morire. Sopravvisse tanto, e quando lo conobbi io non sembrava malato. I medici non se lo spiegavano: era pieno di metastasi eppure era ancora lì. Mi disse che non poteva andarsene finché non avesse trovato il coraggio di dire a sua moglie quello che aveva fatto. Obiettai: Ma, colonnello, è successo nel 1955 e lui Cosa cambia? Se lei non lo sa ancora e come se fosse capitato adesso. Ecco, quella sera intuii nitidamente per la prima volta quel che avrei voluto fare: raccontare storie. Sospettai che quell'uomo non fosse ancora vivo per confessare a sua moglie il tradimento, ma per incontrare me, per mettermi sulla buona strada. È una bella faccenda, pensai, gonfia di sentimenti umanissimi. A lavorarci un po' diverrebbe magnifica. E un giorno o l'altro la scriverò per davvero.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
Commenti
Posta un commento
Grazie per aver commentato il mio post