Un altro libro, un'altra felicità, un viaggio a Inverary, una cena con
delitto, una notte in alta quota dentro un albergo impiccato, un regalo
da fare a Pietro ogni nuovo 21 febbraio, il fine settimana a Itieli
numero trecento. Traguardi. Che hanno il pregio di essere miei, nel
senso che sono pensati su misura per i gusti che ho, e le ambizioni. A
volte li mischio insieme e sembrano un frappè, comincio una cosa e ne
lascio via un'altra, e in bocca mi arriva il corpo tagliuzzato di una
fragola, un sapore di cannella, una scaglia di rosmarino. È
un sistema per sentirsi vivi, questa roba qua, e una manifestazione di
ottimismo: gettare le fondamenta di una casa essendo ragionevolmente
convinti di veder montare il tetto. E questo è il mio record del mondo,
quanto a senso della vita: una miriade di piccole bellezze luminose,
come le stelle notturne d'agosto. Finché non arriva qualcuno a
sparigliare le carte - un'amica, un'ospite in radio, la negoziante di
passamanerie - e mi piazza in mezzo agli occhi la domanda fatidica: E poi?
Sottintende, quella figlia di un cane, che alla fine di ogni
impresa - e talora, dio non voglia, anche in mezzo - c'è un muro: ci si
cozza contro e ciao. Lavori, scrivi, fatichi, viaggi, ti curi, scommetti, ti vendichi, perdoni. E poi muori. Muori, hai presente? Grosso modo questo è il suo punto di vista, ecco. È sempre una donna a fare questi ragionamenti: più pragmatismo, o che so io. È
sempre una donna che mi riporta coi piedi per terra. Ma io non ci sto, non mi fermo,
e domattina vado in radio, e vado a fare la spesa, a ritirare le analisi del
sangue, a lavare la macchina; poi a scuola - di pomeriggio, - e alle nove a
cena fuori. Dopodomani invece salgo a Narni, compro una crostata in
piazza, prendo accordi per Natale, se ce la faccio mi infilo al cinema,
all'ultimo spettacolo. E domenica? Domenica vado in Tuscia. E lunedì? E
martedì? E il prossimo mese? E il prossimo anno? E i prossimi dieci? Han
ragione le mie amiche: c'è una destinazione sola, a che serve costruire? E non lo so se
davvero, come dicono le canzoni, è eterno anche un minuto, se lo vivi
come dio comanda. So però che se la corteggio, la disperazione che sta in fondo
alla strada, sono fregato. E allora ragiono come fossi immortale non
per follia, o incoscienza. Ma per il fatto che non c'è un'alternativa
che è una che mi convinca a pensarmi diverso.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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