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Il fine settimana perfetto

Verrà il giorno - anche se il tempo lo chiameremo con altri nomi - in cui dio mi ordinerà di mettermi seduto - ammesso che avrà ancora senso un gesto del genere - e mi spiegherà cosa intendeva lui per speranza - posto che lui e io quella virtù l'avremo sempre detta con parole differenti. Perché l'alfabeto di dio mi sa un canto babilonese, una litania araba, uno scioglilingua azteco: tutta roba che non comprendo, che suona marziana e migrabonda dentro la mia testa, come le nuvole di Montale sopra la Corsica e Caprera. Io, per dire, la speranza l'ho spesso contrabbandata per mutazione: tutto quel che cambia cambia in meglio. Ora so che era una avventata ingenuità - quando la mia vita è cambiata, è cambiata malamente - e so anche che ripetere ogni giorno gli stessi movimenti, auspicarsi che la salute resti di ferro e giusto un poco di fortuna in più, può anche non essere la peggiore delle sorti. Ciònontoglie che lavoro sodo più di quanto pensiate per incastrare dentro la routine una rondella d'imprevedibile, così la ruota per un po' s'ingrippa e prendo io a girare a piacimento. Tipo quando mi costruisco il fine settimana perfetto. Riesce meglio, quello che sto per raccontare, nelle stagioni fredde, e ventose. Per cominciare, c'è bisogno di un discreto talento nel fare la spesa, riempiendo due sporte di tutte le intuibili voglie che mi verranno in collina: smarties, krumiri,  cipster, marshmallow, e zozzate del genere. E visto che la collina è la meta - un posto di cui se non sbaglio vi ho già parlato una o duemila volte - mi devo ricordare che lassù Wi-Fi non ce n'è e che anche il cellulare piglia quando lo stabilisce lui. Per cui: roba da leggere. Libri ma anche Il Piccolo Ranger e Il Grande Blek, e riviste di cinema. Tutto quello che ho lasciato indietro d'estate, per capirci. Paul Auster e la sua trilogia cervellotica da onorare, ad esempio - ecco - non devo dimenticarli a casa. Poi conta che il cielo sia grigio, i lupi scendano affamati dagli orridi e la tramontana fischi nel camino come un'anima dannata. A quel punto inizia il godimento: sprango porte e finestre, accendo una lampada fioca e nella pozza dove cade la luce ci piazzo una poltrona. Una coperta sulle gambe, spuntini a portata di mano, e il gioco è fatto. Potreste trovarmi ancora lì - se vi venisse l'estro di salire a cercarmi e la smania di allungare il week-end mi avesse vinto - all'inizio della successiva primavera.

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