C'è stato un tempo - io ero già vivo - in cui le parole uscivano disarmate dai ragionamenti, e si fermavano ben prima di azzuffarsi con altre, in un campo magari - se s'era deciso di arrivare fino alla fontana di Santa Rosa a digerire un pranzo sfacciato - e volavano intorno come farfalle, e si sedevano in cerchio come le fate, e insomma poi ognuno si riprendeva le proprie senza che sanguinassero, e si tornava a casa leggeri. O attorno ai tavoli dell'infanzia - sempre quelli in appena tre o quattro case differenti - mentre si sgranavano legumi si usavano per raccontare. E ricordare, per intenerire, perfino, e proteggere. Poi dev'essere caduto un meteorite, o il pezzo di un dio perverso sopra la terra - un femore, le tonsille - e siamo mutati. Forse lentamente, che è il fatto per il quale non ce ne siamo accorti, mentre accadeva; oppure sì, ce ne siamo accorti, ma non ce n'è importato, che succedesse pure. Ora siamo ostili, viviamo tutto il tempo in trincee oppo...
Sdraiato sui binari: diario di bellezze malsincere in attesa del treno. Sperando che porti ritardo.