Passa ai contenuti principali

Anticorpi

Che ci colpiscano e sconvolgano più i morti di Parigi che quelli in Siria non è perché siamo disumani, o razzisti. O meglio: qualcuno di noi lo è ma non è questo il punto. Credo invece che la cosa abbia a che fare con il concetto di prossimità. È la stessa cosa se muore uno che conosciamo: ne siamo turbati perché abbiamo avuto un qualche rapporto con lui, ci abbiamo scambiato quattro parole al bar, gli stringevamo la mano a Natale. È chiaro che i morti sono tutti uguali, per il semplice fatto che gli uomini sono tutti uguali. Ma i morti di Parigi sono gente più vicina a noi, l'abbiamo in un certo senso più in confidenza, è come se fossero sul nostro pianerottolo, la gran parte di noi magari è stata in Francia, ci sono affinità etniche e culturali, guerre di liberazione fatte insieme, parentele cinematografiche, rivalità gastronomiche e calcistiche, e sono tutte cose che legano. Ecco perché ci intristisce di più la notizia degli attentati di Parigi. Non siamo mostri, per questo. Siamo esseri umani, che di fronte alle centinaia di notizie spaventose che arrivano fanno una selezione dentro di loro: da alcune ci facciamo turbare più che da altre perché non possiamo farne a meno; stragi ugualmente atroci - o più cruente ancora - ma più lontane geograficamente ci intaccano di meno. È in questo modo che ci difendiamo e non siamo travolti dalla piena della disperazione. Una specie di meccanismo psicologico, o istinto di conservazione; altrimenti non vivremmo più.
Solo l'altroieri ho fatto vedere ai miei studenti una fiction sulla strage di 35 anni fa alla stazione di Bologna. La cura delle atrocità è sempre la bellezza, la sua ricerca e poi la sua contemplazione. Bologna ieri, Parigi oggi. E in mezzo tante città, tanti posti sventrati per i motivi più vari, in altri continenti più spesso che qui. Ogni attentato è un crimine contro la vita, ma non solo. È un crimine contro luoghi che hanno un incanto incancellabile, una storia che gronda meraviglia. Ogni attentato di questo genere, oltre che ignobile verso gli inermi, è un atto di imperdonabile analfabetismo. Bologna, Parigi: due città - per rimanere nei nostri paraggi -  in cui impalcarono le prime università europee. Posti dove si combatteva - con qualche contraddizione - l'ignoranza. L'unica, sacra, umana, reazione possibile allora non è un'altra guerra ma un altro libro. Una visita più attenta del solito al museo. Un concerto, un film. E poi un altro ancora, e poi mille altri ancora, senza pause, senza mai sentirsi sazi, febbrilmente. Solo così sviluppiamo gli anticorpi necessari per non ammalarci più di rabbia e di odio. E se chi ci amministra e governa non l'ha capito, non lo sa, non lo vuole intendere, magari alla fine saranno i popoli a disarmarsi e a camminare una buona volta tutti insieme verso un nuovo umanesimo.




Commenti

Post popolari in questo blog

Avvento

Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

Tre circostanze fortunate

Tu adesso chiudi gli occhi che io ti do un bacio. Chiudi gli occhi perché il bacio non devi vederlo arrivare, devi fare in modo che l'attesa sia una fitta dentro al petto, che la mia bocca s'aggrappi alla tua quando non ci contavi più, quando pensi che me ne sono andato e t'ho lasciata là, ingannata e cieca. Mentre aspetti il tempo ti sembrerà differente - il tempo dell'attesa di un bacio sfugge alla gabbia consueta - e se alla fine ti chiedessero di contarlo dovresti fare come i bambini, con le dita, e sarebbe lo stesso un inganno. Non è una questione di età, io ho la mia e tu la tua, non siamo alle prime armi. Ma anche la tenerezza - perché è di questo che stiamo parlando - muove con un tempo tutto strano, asincrono, ed è la stessa di quando avevamo vent'anni - tu più di recente - rinvigorita però dall'autostima, che alla giovinezza non si addice. Poi vorrei tenerti addosso, come in quella canzone di Paoli, stringerti alla mia camicia bianca e dirti che probab

Alcune ragioni contrarie all'infelicità

Perché sei infelice? Perché non riesci a starci dentro, alla felicità, per più di dieci minuti? Io credo che dovresti ragionare su queste domande, così intime e così terribili. Se vuoi ti do una mano, molti dicono che ci somigliamo, sarà più facile per me che per un altro suggerirti una via d'uscita. Sei infelice nonostante tu faccia tutti i giorni quello che ti piace. Pensa se non fosse successo, che avessi quei piccoli talenti che alcuni ti riconoscono: parlare in radio con disinvoltura, scrivere con leggiadria, tenere avvinti venticinque ragazzi con un poeta che per la prima volta non sembra loro inutile. Pensa se non avessi quei piccoli talenti ma fossi divorato dal desiderio di averli, e ogni tua invenzione passasse inosservata, o peggio fosse evitata come la peste. Questa attenzione che ti dedicano, non è già motivo di felicità? Le parole - lusinghiere -  che ti regalano a corredo delle tue, non sono una buona ragione per essere felici? E quando hai viaggiato per l'Italia