E una volta, che eravamo ragazzi, a Natale tagliammo la corda, il primo Natale dopo la maturità. Andammo via in quattro, due uomini e due donne, ogni tanto lo facevamo, a vent'anni. Ci eravamo rotti delle feste in famiglia, quelle che adesso mi mancano, ma erano altri tempi, eravamo sciocchi, invincibili, pieni solo di capelli e istinti di ribellione. Tutti e quattro avevamo pagine bianche davanti - l'avvenire era la cosa di cui ci importava di meno - e una confusione di amori sconclusionati e scoppi di vita su quelle alle spalle. Io m'ero trovato dei lavoretti, per luglio e agosto - servii il caffè ai pensionati in un bar di paese, tenni pulita una piscina in un club privato, un pomeriggio accompagnai in macchina una donna bellissima all'aeroporto - per cui avevo quattrini a sufficienza per quella alzata d'ingegno. Caricammo la Golf di giacche pesanti e partimmo. La meta era Polignano a Mare: cinquecentoventi chilometri, una follia. Ci sembrarono un terzo, tanto eravamo allegri e liberi, dopo tutta quella cattività. Al mare la festa ha una faccia diversa, una fisionomia malinconica, è il presagio di tutte le tristezze che vivrai, tutte le tristezze, negli anni, saranno quella sera lì, quel film preciso, fotogramma per fotogramma. Lasciammo i bagagli in albergo e scendemmo in spiaggia. La notte si mangiava già l'arenile, le onde erano blu, scintillando qua e là per il rimbalzo della luce lunare. Quei tre con cui viaggiavo erano amici per davvero, c'era stato qualche flirt incrociato, mesi prima, niente di che. Una volta arrivati a un monticchio di alghe, presi per mano una delle ragazze e insieme superammo quel fradiciume, che però mandava odore di mare e barche tirate in secca. In quel momento sospettai di poter essere immortale. Andammo a cena, fumammo sigarette leggere affacciati al balcone, aspettammo mezzanotte e brindammo con il vino aspro della casa. La felicità vera sarebbe stato non tornare mai più.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

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