Una volta che avevo vent'anni mollai un libro d'amore a pagina cento perché c'era una ragazza che mi spaccava il cuore, e decisi che era meglio viverla, quella passione, che leggerla. Viaggiammo per un po' insieme, inseparabili, uno scherzo di tempo che adesso sembra il vanto di una sera d'estate, eppure, lo giuro, è stato interminabile, tanto che lo fraintesi infinito. Alla giovinezza preferimmo la libertà, tutte e due insieme non si possono avere. Alle tentazioni preferimmo la fedeltà, e fu una stagione di luci specchiate sull'acqua, in qualche posto di mare lontano dal tempo che invecchia. C'era questa indispensabilità reciproca che non auguro a nessuno, se non volete impazzire. Anche meno, ragazzi, anche meno. Innamoratevi, sì, fatelo, è divertente, è un brivido a qualunque età, non crediate che alla mia non succeda. Ma nutrendo sempre il sospetto che sia un abbaglio, un'infatuazione, e privilegiando sempre un po' di ginnastica come si deve a una promessa nitida. Scusate, non vorrei sembrare cinico. Ma se amate, sappiate che poi fa male, e allora è meglio se non cominciate nemmeno. Comunque la stagione che dico prese una piega bizzarra: eravamo completi. E ci piaceva girare il piccolo mondo che avevamo attorno, frequentando ristoranti sulla spiaggia e rifugi di montagna con la neve che si squagliava sui prati d'aprile. Erano un'illusione ben architettata quei tramonti dove il sole, mezzo a bagno nel Tirreno o mezzo ingoiato dalle guglie dell'Abetone, si bloccava fermando il tempo, permettendoci di sospettarlo eterno. Oggi ho sognato quei giorni di gloria, nel fuggente dormiveglia del dopopranzo. Eri tu, eri quella cui ho dato il braccio scendendo le scale dell'Upim, salendo alla Loggia dei Pescatori, nella città ferita che ha due nomi attaccati che diventano uno. Ho riaperto quel libro che avevo smesso, l'ho scoperto giallo e stantio, dietro a una fila di romanzi qualunque. A pagina centouno, dieci righe più in là di dove l'avevo tradito, ho trovato scritto il senso del dolore, presagito tutto intero e senza sconti.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

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