Passa ai contenuti principali

Dorothy

La dolcezza delle sere settembrine, a mezzanotte, sulla spiaggia  di Favignana, tra le onde luminose che ci pungevano i piedi: non credo di aver vissuto mai una felicità paragonabile a quella. In cento altre occasioni sono stato felice ma la profondità del sentimento alcune volte era meno un abisso, e invece nelle Egadi non se ne vedeva il fondo. Lì dimenticai gli acciacchi, la mia ipocondria, scordai che siamo preda del mercato, che qualcuno talora si fa beffe di noi e giurai solennemente che la vita mi piaceva. Lo giurai a una ragazza dagli occhi tristi e la bellezza manifesta, che giocava la sua indipendenza dentro una vacanza solitaria, in barba all'ex marito e ai suoceri fascisti. Si chiamava Dorothy, teneva coperta gran parte del corpo con camiciole e gonne a campana, aveva denti candidi e si immergeva senza fare una piega in certi romanzi di complessità fatale che io neanche ho mai sfiorato. Io ero con un paio di amici che la notte la passavano a dormire e mi ritrovai, insonne, con un sacco di tempo libero; lei disse che era incuriosita da quelli come me, trattenuti, artisti: Non siete così tanti, ammise. Non le raccontai niente di me, non le raccontai di Alessandra, non volevo essere compatito e poi le donne in gamba non amano aver attorno uomini lamentosi. Ero stanco d'amore, e anche lei, lo intuii, non cercava nessuna consolazione, e nessuno dei due cercava avventure. Che meraviglia quando le cose stanno così, tra uomo e donna: è tutto più chiaro, meno primitivo. L'ultima sera la invitai a mangiare e fu una cena allegra, senza discorsi di morte, poi mi disse Accompagnami in camera, ho freddo, vado a prendere una maglia, e io pensai fosse un pretesto, e stavo per risponderle Ti aspetto qui quando aggiunse Non è come pensi. Una volta di sopra chiuse la porta e si tolse i vestiti. Non lo fece come ci si spoglia in certe occasioni, ma con gesti feriti, offesi. Aveva lividi e bruciature sulle spalle e sulla pancia, sulla schiena. Nessuna donna mi ha mai mostrato con tanta fierezza la sua anima. Le diedi un bacio sulla guancia, le si inumidirono gli occhi, si rivestì e uscimmo a prendere un gelato. 

Commenti

Post popolari in questo blog

Lasciami andare

Valerio, avevi ragione, dovevo lasciar andare. Ti ricordi che ne parlavamo? Io trattenevo, aggiustavo, incollavo. Tu dicevi "Sei stato bene con quella ragazza? Basta, non cercarla, non chiamarla". Oppure "Ti manca tuo padre, ne hai nostalgia? No, non darle retta, via, è finita". Dicevi che dovevo conservare la memoria ma senza ogni volta inseguire il passato: io ho sempre pensato che le due cose fossero inseparabili, mi hai aperto gli occhi. Così faccio con le case che ho abitato: non le guardo più le fotografie, che si secchino pure dentro gli armadi. Lasciar correre, lasciare indietro. Un suggerimento sensato, così facendo uno mette a posto il disordine delle stanze, ma si vive meglio in un ambiente in cui tutto è dove deve stare? A questa obiezione facevi spallucce, una finta di corpo - come quando giocavi mezz'ala e io al centro dell'area aspettavo il tuo cross per segnare - e uscivi dal bar. Forse pensavi Che testa di cazzo , ma con tenerezza, perché ma...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...