Oggi son tornato a casa per istinto, non per ragione, e dopo la radio ho salito via Turati, che è ancora una specie di mulattiera moderna, e all'altezza di San Valentino ho svoltato per via Patrizi, proprio dove insiste la pasticceria napoletana più buona che ci sia fuori da Napoli. Lì mi ha preso il passato, mi ha ghermito. Lo sapevo che sarebbe successo eppure mi ci sono ficcato mani e piedi, sciocco che sono. Così ho immaginato che fossi affacciata alla finestra, come quando aspettavi che tornassi per mandarmi un bacio dal secondo piano, luogo di tenerezze e orrori fin troppo raccontati. Altre volte non eri ancora rientrata da scuola e mi lasciavi un appunto sul tavolo, la pasta già pesata da calare e un cuore disegnato sul foglio, e sotto il cuore il tuo caro Ti amo. Un giorno scoppiai, come scoppiano gli stupidi e gli irrequieti quando credono che la famiglia stia loro stretta, e tu mi hai fatto ragionare su un concetto discretamente fondamentale: la riconoscenza al destino. Se non ce l'hai può capitare che debba pentirtene quando è troppo tardi, come in effetti è successo a me. Al pomeriggio, quando tu eri di partenza e avevi già comprato il biglietto per questa smisurata vacanza, con Susanna giocavamo a ping pong sul tavolo della cucina, ma ogni telefonata era un salto mortale del cuore, ogni analisi del sangue una rovina. Ho guardato il terrazzo, da sotto, dopo aver parcheggiato in divieto di sosta, come diciannove anni fa: quello strano terrazzo fatto a onde dove abbiam passato alcune estati a reinnamorarci, come dovessimo ogni sera ricapitolare quel gesto tanto singolare per riportarlo a nuova vita. Ora mi manca ricordare tutte quelle parole che ci siam detti, mi manca ricordarle con te, mi sfianca rievocare la bellezza da solo: due che si sono compresi, al cospetto di un mondo di solitari, dovrebbero raccontarsi le stesse cose annoianti fino a cent'anni. In mancanza di meglio, un po' di quelle cose le ho scritte e non contento talora torno a casa nostra come se tu fossi ancora lì, come se la casa io non l'avessi venduta e come se potessi ancora affacciarti per vedere se arrivo, e sorridere se non trovo di meglio che parcheggiare tutte le volte dove non si può.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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