Passa ai contenuti principali

Dio e la ragazzina impertinente

C'è ancora chi mi manda messaggi del tipo Ho letto quel tuo romanzo con dio scritto minuscolo che fa il tatuatore e la ragazzina impertinente: mi è piaciuto assai. Posso farti una domanda? e io, dopo essermi lusingato un'altra volta - perché il titolo su due piedi non se lo ricorda nessuno ma il libro dopo dieci anni vende ancora discretamente - gli rispondo Sì, certo che sì, spara. E lui, o lei, e infatti stamattina era una donna, attacca col ditirambo - Ammappa quanto sei bravo, sai che sarebbe ganzo farci un film, e che personaggi strambi, e che storia lunatica - e dopo il ditirambo in genere arrivano le critiche: Però è stampato troppo piccolo, però non ho capito se il finale è amaro o consolatorio... Oggi niente critiche, la ragazza è andata dritta al punto: Ma perché non scrivi un seguito in cui dio stabilisce che tutte le cose che fanno bene fanno male e viceversa? Le chiedo di spiegarsi meglio e lei si spiega, e alla fine capisco che le piacerebbe leggere un'utopia. L'avventura di un mondo dove la maionese, le sigarette e le bombe alla crema sono prescritte dai medici, e le minestre di verdura, le carote lesse e le rape sono cancerogene, o fortemente sospette. Una realtà insomma dove ciò che è buono fa anche bene alla salute e tutto quel che ha un sapore schifoso le nuove gravemente, tanto che finirebbero per scrivercelo, sui platoncini di cavolfiori, come oggi sulle Philip Morris. Ma mica solo quello, mi suggerisce la mia nuova amica. Anche per esempio abitare vicino alle fabbriche: sarebbe una causa di longevità. Bere birre a volontà farebbe dimagrire, e lo stesso mangiare quattro gelati al giorno. Un cannone a settimana sarebbe raccomandato anche ai bambini delle elementari, e quando uno sta male di petto o di gola, via a giocare a pallone sotto la pioggia, per guarire più in fretta. Una realtà - aggiunge la ragazza prima di congedarsi - dove il piacere sarebbe benefico, e tutto quel che ci costa dolore o fatica un gesto potenzialmente letale. Poi stacca il galoppo e va via, sparisce nel web, chissà da dove scriveva: non l'ha detto, non le è venuto in mente o non ne aveva voglia. Mentre ci ragiono su, se darle retta o meno, nel caso vi andasse di leggerlo anche a voi, quel mio romanzetto schizofrenico, lo trovate per esempio qui: https://www.mondadoristore.it/quarta-persona-piu-importante-Francesco-Franceschini/eai978888912267/

Commenti

  1. Grazie per il tuo entusiasmo e la tua energia nello scrivere questo blog

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie a te per le belle parole: energia ed entusiasmo sono necessari, quasi salvifici. Un caro saluto.

      Elimina

Posta un commento

Grazie per aver commentato il mio post

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...