Devo aver dormito un sacco, perché quando sono andato a letto eri piccola ed ora sei una donna. Al botteghino del Politeama, non più tardi di una settimana fa, la ragazza coi capelli corti non ci ha fatto entrare: credeva che Monster house ti avrebbe spaventata. Io ho tentato di dirle che a cinque anni avevi già visto tutti i film di Tim Burton e lei, cercando un compromesso, ci ha proposto Cars in un'altra sala, giurando che era più adatto a te. A parte che a vedere Cars mercoledì l'altro ti eri addormentata e avevo dovuto portarti dolcemente in braccio fino a casa, ma poi quella tipa che diavolo ne sa di cosa ti fa paura e cosa no? Neanche quando ti sei rotta la tibia hai avuto paura. All'asilo sei caduta dall'altalena, e mentre io e tua madre ti portavamo all'ospedale sembrava stessimo andando in vacanza: canticchiavi. Le volte che ti lasciavo vincere a ping pong ti arrabbiavi: volevi vincere senza aiuti, come fanno in ogni campo le persone di una certa stoffa. Tu sei di stoffa pregiata, lo sei dalla nascita, e non certo per merito mio, al massimo di tua madre. E insomma oggi mi sono svegliato e la bambinetta che mi girava attorno, mangiava quel che maldestramente le cucinavo, mi chiedeva perché si scrivono i libri, giocava a pallacanestro con più felicità se la andavo a guardare, mi aspettava col grembiule fuori della scuola, ha preso la macchina e ha detto Ciao Frà, vado a lavorare. Le ho ricordato di non fumare troppo, di mandarmi un messaggio se non torna a dormire, di fare le cose secondo un certo verso. Sono raccomandazioni superflue, fa già senza amnesie ciò che le ripeto continuamente di fare: sono io che non riesco a starmi zitto. A quel punto - la casa calda e vuota - ho messo un disco di Concato, tanto perché la malinconia va accompagnata da un sentimento che le s'apparenti. C'era una tazza lavata male, sul lavandino. L'ho riempita di fiocchi d'avena, latte e yogurt e mi sono seduto a guardare la pioggia che finalmente provava a spegnere l'estate feroce.
Valerio, avevi ragione, dovevo lasciar andare. Ti ricordi che ne parlavamo? Io trattenevo, aggiustavo, incollavo. Tu dicevi "Sei stato bene con quella ragazza? Basta, non cercarla, non chiamarla". Oppure "Ti manca tuo padre, ne hai nostalgia? No, non darle retta, via, è finita". Dicevi che dovevo conservare la memoria ma senza ogni volta inseguire il passato: io ho sempre pensato che le due cose fossero inseparabili, mi hai aperto gli occhi. Così faccio con le case che ho abitato: non le guardo più le fotografie, che si secchino pure dentro gli armadi. Lasciar correre, lasciare indietro. Un suggerimento sensato, così facendo uno mette a posto il disordine delle stanze, ma si vive meglio in un ambiente in cui tutto è dove deve stare? A questa obiezione facevi spallucce, una finta di corpo - come quando giocavi mezz'ala e io al centro dell'area aspettavo il tuo cross per segnare - e uscivi dal bar. Forse pensavi Che testa di cazzo , ma con tenerezza, perché ma...
❤️
RispondiEliminaGrazie del cuore
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