Da ragazzo, in un'antichità ignara della rete, passai un paio di mesi a cercare nei negozi di dischi e sulle riviste di musica l'album formidabile di una band irlandese. Avevo sentito le canzoni alla radio, mentre preparavo letterature comparate, e le avevo trovate grandiose, tanto che per qualche tempo tradii la mia esclusività per la musica italiana e me ne innamorai perdutamente. Non fu facile venirne a capo: il mio amico Jalenti non riusciva a farmelo arrivare e sui giornali non ce n'era traccia. Finché, quando avevo perso le speranze, su Repubblica comparve la recensione del vinile. C'era anche la foto della copertina, e lì cominciarono i fraintendimenti. L'album si chiamava Contrast e la copertina era tutta bianca. Pensai a un errore di stampa, dal momento che le canzoni erano invece multicolore, speziate e meravigliosamente giocose. Tutto il contrario insomma della monotonia che la cover suggeriva. Andai avanti nell'equivoco per un po', non sospettando minimamente che la cover bianca era vera ed era a sua volta un gioco, una provocazione. Tuttavia cercai di far tesoro di quella cantonata. Da quella volta, mi incuriosiscono le opere paradossali e a mia volta, quando umilmente scrivo, tento di vestire di leggerezza un tema pensoso, talora triste. E lo stesso faccio tutti i giorni in diretta. Per esempio, metto spesso un pezzo di Samuele Bersani che si chiama Occhiali rotti. Racconta le ultime ore di vita di Enzo Baldoni, il reporter freelance che nel 2004 fu trucidato in Iraq. Ebbene, dovreste sentirlo: il motivo è gaio, vagamente ridanciano. E su quell'aria sciocchina, estiva, Bersani canta Ho lasciato la mancia al boia/per essere sicuro/che mi staccasse la testa in una volta sola. Non è raggelante? Mi piace da matti questa poetica degli opposti, perché intuisco che non è fine a se stessa, né tantomeno irriverente, ma al contrario mette in guardia sulla doppia natura di tutte le cose, sulle due anime che ognuno di noi ha, sulla tenerezza e la ferocia, due sorellastre che quasi sempre vivono assieme. E poi una forma gaia favorisce la memoria, e se l'argomento è serio ce lo ricordiamo meglio. E i sentimenti che sprigiona, come da un immane vaso di Pandora, vengono fuori con tutta la forza necessaria a indignarci e commuoverci.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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