Passa ai contenuti principali

L'anarchia degli oggetti

Non tutti gli oggetti hanno la stessa smarribilità. Certi hanno una purezza di smarrimento prossima al cento per cento, certi altri al novanta, certuni al settanta. Come per il cioccolato fondente, la percentuale fa la qualità: più sono smarribili più sono essenziali. Per esempio io perdo in continuazione gli occhiali da sole quando devo guidare, gli auricolari se vado a camminare, il cellulare appena arriva un messaggio d'amore. Così mi lascio abbagliare, m'insentiero nei boschi senza musica e faccio la figura di quello dal cuore di pietra, ma in realtà è solo che le ho perdute, quelle maledette suppellettili. Perché loro tre in particolare - non solo loro, sia chiaro, ma loro in specie - hanno una natura che le spinge istintivamente a nascondersi, a farsi trovare con fatica e poi a scomparire di nuovo - talora perfino appena rintracciate, che le avevo in mano, le ho posate un attimo per lavarmi i denti e non mi ricordo più dove. Ecco il destino degli oggetti dispettosi: entrare e uscire dalle nostre vite con leggerezza pensosa, dagli incastri di lavoro, viaggi e arrabbiature con soave noncuranza. Abitano con noi ma solo a intermittenza, e all'ordine preferiscono l'anarchia, come dotati di vita propria. Si lasciano rinvenire nell'ultimo posto in cui li cerchi e talora nella prima stanza dove sei andato a indagare ma in questo caso solo alla fine, quando imbufalito ci torni, perché non hai rovistato abbastanza. Quindi cosa vogliono da noi? Che li si cerchi quanto meritano. Scompaiono per far pesare l'importanza che hanno, d'altra parte, sono fatti così. E quando ripercorri i passi fatti? E mimi i gesti appena compiuti? E riannodi i pensieri ingarbugliati in cerca del capo del filo? Lì sta la soluzione, in un'intercapedine sottile, una fessura infinitesimale da cui passa l'imprevedibile impaccio che te li ha fatti appoggiare in un buco nero senza che te ne accorgessi. Se non hai mente acuta non la risolvi la faccenda, e le cose restano perse nel loro limbo muto. Finché non mandi tutto al diavolo, e smetti di diventarci matto. In quel momento, per magia, gli esiliati ti ritornano sotto agli occhi: loro han vinto e tu fai un'altra volta la figura dell'allocco.

Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...