Ho sognato una follia, nel sonno breve del pomeriggio: provo a raccontarla. Ho sognato che a un certo punto decidevano di non farci uscire mai più perché il virus era tornato, era invincibile. Avevano sperimentato vaccini ed era stato un disastro, avevano capito che a furia di trasfusioni avremmo cambiato il sangue in acqua, che il sole d'agosto e i quaranta gradi fiaccavano l'epidemia ma non la debellavano. L'ultima legge prima della fine di tutte le leggi, prima che venisse abolito il parlamento e dato lo sciogliete le righe, prima che i partiti implodessero sollevando una nube di polvere degna del Krakatoa, fu la scelta del Fortunato. Il Fortunato avrebbe incarnato da lì in avanti tutte le speranze dell'umanità, avrebbe potuto fare quel che tutti gli altri uomini non potevano neanche più rimandare a una data ventura, avrebbe sognato i sogni di tutti - un peso immane sulle sue spalle - e li avrebbe realizzati da solo. Il Fortunato era l'unico essere umano sulla faccia della terra autorizzato a uscire di casa. Anzi: invitato, incoraggiato a farlo. Tutti i giorni, di continuo. Solo lui poteva andare al ristorante, e al cinema, e al mare, e in vacanza, e allo stadio, e a visitare i vecchi genitori e a trovare l'amante. Si lasciò fare al caso: fu indetta una lotteria. Il Fortunato scoprì che era stato estratto il biglietto che aveva comprato lui. Si ritrovò perciò solo in una immensa sala da banchetti dove poter consumare i pasti che gli avevano preparato in largo anticipo e che prima della chiusura totale gli chef avevano sistemato in enormi frigoriferi. Quei pasti erano freddi e stopposi, ma lui masticò lo stesso e mandò giù. Al cinema entrava in multisale deserte, un proiettore comandato a distanza faceva partire il film e lui se lo guardava in un silenzio lugubre, senza che nessuno seduto accanto, sgranocchiando pop corn, lo disturbasse (naturalmente erano tutti film girati prima della resa). Al mare, in vacanza, allo stadio, era lo stesso. Malinconico, sulla sabbia nera, gettava lo sguardo oltre le onde, e a volte si illudeva che quella in lontananza fosse una nave di passaggio, ma era solo una balena che inarcava il dorso. Allo stadio - una cattedrale vuota - assistette a partite di campionati passati proiettate su maxi schermi, e fingeva di non sapere il risultato, e tifò, imprecò, esultò, come ai vecchi tempi. Quanto ai genitori e all'amante, andò a trovarli per un po', poi perse il gusto e non ci fu nessuno a multarlo, perché non esisteva più l'autorità, il potere era morto: l'anarchia tanto sognata dagli artisti era diventata reale. Il Fortunato si sentì così fortunato che dopo un paio di mesi di questa vita si tirò un colpo in testa, in una piazza brulicante di nulla e gabbiani, che volarono via spaventati. Nessuno sentì il rumore dello sparo: erano tutti barricati in casa a covare rancore per il prescelto. Avrebbero fatto carte false per essere al posto suo.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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