Fare una casa: quante ne ho fatte. E ho scelto ogni volta il colore dei sanitari - a me piacciono blu - e la ditta dei traslochi, e se la finestra dello studio - quando uno studio c'era - guardava a oriente o a occidente. L'ho fatta pensando a come ci sarei stato d'inverno - perché se una casa è quella giusta lo sai d'inverno, che abiti la stanza più buia e la illumini alla bisogna, ci piazzi una poltrona e ci giochi le notti a leggere. Ho vissuto in città, in collina, dentro a un palazzo e in mezzo a un bosco; ho vissuto progettando di cambiare, sempre, perché nessun posto era casa mia. E ho viaggiato così tanto tra le case perché sono in fuga. Scappo da lei. Ma lei mi ritrova sempre, ovunque io vada. Ancora ieri, è entrata in camera giusto a mezzanotte, che ero sul ciglio del sonno ma non ancora caduto. Mi ha abbracciato, mi ha stretto: ha le mani gelate, le ossa aguzze, mi ferma il sangue, il cuore. Se la racconto, come adesso, che è giorno, e tutto sembra un destino leggero, lo spavento è un dettaglio. Ma non è lo stesso quando le tenebre la scortano, e non posso chiamare nessuno, perché nessuno la vede e non capirebbero l'aiuto che mi serve. Domani. Domani. Domani succede qualcosa. E se domani succede qualcosa? Non a me. Magari fossi solo io quello a cui potrebbe venir del male. Se mi chiamano, se bussano alla porta con il fardello più atroce, se stanno zitti davanti a me aspettando che capisca da solo? Di notte, arriva di notte, schifosa che non è altro. Con quelle stesse parole, quelle medesime insinuazioni, la stessa sceneggiatura, di un tempo. Tutti i teatri, tutti i mesi, tutti gli anni: sold out. Arriva sul palco e non gesticola, non recita. Sta lì con la faccia innocente, e guarda la platea, e fissa uno per uno tutti i miei sogni, e li contamina, li decapita. Certe volte scuoto le coperte, scalcio le lenzuola, balzo in piedi, spalanco la finestra. Sotto non passa nessuno, solo i cani del vicino che sbraitano. Il petto si chiude in una morsa, non respiro, dov'è il mio spray antiasma? Piccole luci danzano sull'orto, che dovrei curare. Sono tornate le lucciole, non le vedevo dalla vita precedente. Lei è dietro di me, vuole issarsi sulla mia schiena, si arrampica. Esco per la campagna, con addosso la prima maglia che trovo. A vedere se sulla terrazza di qualche appartamento c'è scritto Vendesi, comprarlo, e illudermi, così facendo, di poterla finalmente uccidere.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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