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Visualizzazione dei post da gennaio, 2019

Il piacere

Cavolo se mi piace, vivere. E non solo i giorni speciali, che poi sono qualche decina, a dir tanto, sparpagliati in trent'anni, ma proprio i giorni qualunque, volgari, fieramente feriali. Ci pensavo, a 'sta cosa, oggi che scendevo ilare giù per la mulattiera ghiacciata in cima alla quale ho comprato casa - preda di chissà quale furor d'amore, ché qui ci nevica tutti gli inverni e io sono per la primavera. Scendevo con le Sneakers ai piedi, che sulle lastre gelate fan poca presa, e ho rischiato l'osso del collo un paio di volte, ma non importa, perché ero leggero. Andavo in ritardo a comprare i giornali. In ritardo nel senso che era già quasi notte e uno sano di mente i giornali li compra al mattino. Io no, mi girava così, oggi, è una cosa che mi sembrava eccentrica - è ganzo essere eccentrici - e che ha a che fare col concetto di piacere, cui modelliamo tutte le nostre azioni. Mi piace comprare i giornali la sera perché mi piace vivere l'attesa di leggerli, e arriv

La giusta distanza

Delle cose si comincia a scriverne quando le hai perdute, non se sono ancora nei paraggi, perché la distanza aguzza la vista più delle vignette quasi identiche da comparare, nei giornali di enigmistica. Per questo ho aspettato di esserne lontano - dai disastri, dal disamore, dalla tentazione del vuoto - prima di raccontarne le circostanze. È complicato per le mie piccole doti vivere e parlarne, non c'è la necessaria lucidità, e c'è invece il rischio della incompletezza, della storia monca: non riuscirei a darle un motivo per cui sia valsa la pena perderci tempo. Un sussulto, un'emozione: parlo di roba del genere. Ragionare d'amore senza essere innamorati, ma essendolo stati, è un gran vantaggio; per questo io non ne parlo mai, o assai di rado: perché ne sono ancora invischiato. Frequento sentimenti laterali, allora, piccole nostalgie, pomeriggi indecisi tra inverno e primavera, ore legali che allungano il chiaro e mi sorprendono a bere leggero, evitando poi, per ecce

L'apparenza

Ha nevicato per scherzo, ieri, in mezzo alla mattina, e però sembrava facesse sul serio, attaccava - sulle greche del giardino, sul muricciolo di cinta dell'orto, - ma in capo a un paio d'ore è finita, come una passione senza costanza. Così ho preso per il sentiero che dal retro di casa si arrampica nel bosco e a una cinquantina di metri dalla cima, dove ricomincia la strada asfaltata, ho visto una cosa che sembrava un cinghiale, fermo, in mezzo alle foglie. Come la neve, era un inganno: un tronco schiantato - da un fulmine, da una gang di taglialegna, vai a saperlo. E quindi, niente: l'apparenza ha più credito della verità, spesso e di buon grado, come la Fata Morgana ingannava i marinai al largo di Messina con la sua rifrazione assurda, prima che l'Ottica ne spiegasse il mistero. Ho pensato, per associazione di idee, alla prima volta che incontrai la parola forte in una versione di latino. Era qualcosa come Ad Ianiculum forte ventum erat , Tito Livio mi pare, sarà

L'equilibrista e la lattaia

Ho capito: non sono io che voglio ritornare a Narni, è Narni che mi chiama. Vuole che mi sieda sulle sue pietre - le scale, i gradoni, i muri bassi, i dissuasori del traffico - e la completi. Sono la figurina che manca per finire l'album, il topolino scappato che deve ritornare in gabbia. Per questo mi accoglie ogni volta con lo spettacolo più commovente che può: cielo tinto di rosso dietro il palazzo del cinema, vento gentile in vicolo del Moro, piccole onde nella fontana maggiore. Mi corteggia, è come dicesse Vedi che ti perdi a stare lontano? e apre le porte dei ristoranti al mio naso, alla goloseria che mi prende a passarci davanti, e la invita a cena. I giorni lunari, passati e speriamo molto futuri - perché torneranno, inevitabilmente, ma più tardi possibile - si curano in quella città, che ha il pregio dei libri antichi: polverosa, nostalgica, piena di appunti. Non ho paura di invecchiare - devo ancora diventare adulto, del resto - perché la fonte della mia giovinezza è

Il colonnello Mano Cattiva

Un uomo, un militare, attraversa due guerre cruente, poi muore per non saper più vivere, a 49 anni, scendendo da un treno. Raccontata così, con ventuno parole, più che una vita è un romanzo in incubazione: mi sfida a dargli un corpo, un'anima e una voce. Perciò indago, cerco in certi libri di storia americana, e scopro che l'uomo di cui ho trovato una scarna biografia ha invece camminato un'esistenza possente, il cui ultimo tratto è stato beffardo. Scarto la fonte primaria: un giornale di enigmistica; ha messo in moto la mia curiosità e tanto basta. Mi faccio aiutare da chi di inglese ne sa più di me - ci vuole poco - e ricostruisco tutto. Ci metto quarantanove giorni, e parecchi viaggi in biblioteche lontane. Cerco di farla breve, ecco l'essenziale: il soldato si chiama Ranald Slidell Mackenzie, è nato nello stato di New York, nel 1840. Combatte nella guerra di Secessione. Nella battaglia di Petersburg viene ferito a una mano e gli devono amputare due dita. Nel 1864

Viaggio di ritorno

Specie quando l'inverno ha acquartierato i suoi soldati di ghiaccio per la campagna, mi salta in cuore la voglia di un mare luminoso, per il paradosso tutto umano di desiderare sempre il contrario di quello che si ha. I doppi vetri mi dividono dalla tristezza, che pure al grigio dei viali si intona, mentre canta la sua canzone ventosa. Astrarsi, così, è naturale: un bisogno, una strategia di difesa. Oggi ci ho abitato, in quel sogno, e ho rivisto Vieste, Mykonos, e certe altre spiagge delle mie estati viaggianti, quando m'aggrappavo alle balaustre dei traghetti, davo il cambio alla guida di una decappottabile, e  insonne cercavo un ristorante aperto tra Olbia e Budoni - per poi trovarlo là dove rapirono Faber, o nelle vicinanze, e la radura con le lampadine colorate aveva il tratto del mito. Quella sera bevemmo di gusto e io ricordai il breve passato che avevo alle spalle - qualche suo barbaglio, beninteso; - così oggi, che riannodo quel tempo, nasce una sorta di memoria al

Bach e Facchinetti

Spero, promitto e iuro reggono l'infinito futuro, e grazie al cielo anche la mia ostinazione a vivere, nonostante certe stagioni nemiche che pure, oscenamente, ho attraversato. Speranze, promesse e giuramenti sono in effetti l'alfabeto del mio povero mestiere, che necessita sì di parole graziose ma anche di persone cui rivolgerle: destinatari scelti, diciamo così. L'umanità è il campo da gioco di ogni scrittura degna di questo nome, del resto, ma all'umanità bisogna un poco voler bene, per scriverne, sorvolando sui suoi difetti - quelli piccoli, beninteso - non per indulgenza ma per scansare il moralismo - nemico acerrimo dei narratori. È lo stesso ragionamento che doveva aver fatto Gastone quando, nell'estate del '92, riarrangiò al pianoforte certe canzoni segrete dei Pooh che all'epoca mi parevano monumentali, e che io poi la sera, chiudendoci dentro il suo garage a Cigliano, intonavo come non ci fosse un domani, e non avessero inventato la vergogna. L