Un uomo, un militare, attraversa due guerre cruente, poi muore per non saper più vivere, a 49 anni, scendendo da un treno. Raccontata così, con ventuno parole, più che una vita è un romanzo in incubazione: mi sfida a dargli un corpo, un'anima e una voce. Perciò indago, cerco in certi libri di storia americana, e scopro che l'uomo di cui ho trovato una scarna biografia ha invece camminato un'esistenza possente, il cui ultimo tratto è stato beffardo. Scarto la fonte primaria: un giornale di enigmistica; ha messo in moto la mia curiosità e tanto basta. Mi faccio aiutare da chi di inglese ne sa più di me - ci vuole poco - e ricostruisco tutto. Ci metto quarantanove giorni, e parecchi viaggi in biblioteche lontane. Cerco di farla breve, ecco l'essenziale: il soldato si chiama Ranald Slidell Mackenzie, è nato nello stato di New York, nel 1840. Combatte nella guerra di Secessione. Nella battaglia di Petersburg viene ferito a una mano e gli devono amputare due dita. Nel 1864 per il suo valore viene nominato tenente colonnello. Alla sconfitta del Sud viene spedito nel Texas settentrionale, a fronteggiare le rivolte degli indiani Kiova e Comanche. Per via della sua menomazione, i pellerossa lo chiamano Mano Cattiva, anche se le fonti che ho trovato discordano su chi gli abbia effettivamente attribuito il soprannome: in un libro si dice che fu un fuorilegge del Pecos. Propendo per i nativi, sia perche mi stan simpatici sia perché piaceva loro affibbiare nomi che descrivessero un uomo attraverso una caratteristica fisica. Durante le guerre indiane Mano Cattiva è duro, implacabile, ma leale. Rischia più volte la pelle, gli va bene, finché non riesce ad aver ragione dei ribelli, li piega, ma senza il sadismo malato di altri generali: risparmia chi si arrende, riconosce dignità a un popolo sconfitto. Poi ne ha abbastanza, smette di sparare, compra un ranch e si sposa. Un giorno cade da cavallo, batte la testa. Da quel momento la sua vita cambia. Ha frequenti sbalzi d'umore, manie di persecuzione. L'esercito lo mette a riposo, gli concede un vitalizio. Lui però peggiora, lo ricoverano per qualche tempo in un sanatorio. Soffre di allucinazioni. Lo curano, migliora, lo lasciano uscire. Prende il treno, torna a casa. Alla stazione di arrivo, mentre la moglie gli va incontro, si sente male, muore davanti a lei. È il 1889, fine della storia. Ma c'è un secondo epilogo, che non ho trovato nei libri, e che mi preme. Deve esserci. Ha a che fare con le parole scrupoli e destino. Studiandone la vita ho capito che Mackenzie era un uomo per bene, e che aveva un senso del dovere assai etico, e sono abbastanza sicuro che siano stati i suoi scrupoli a farlo ammalare, non la caduta. Il dubbio di aver combattuto dalla parte sbagliata, il sospetto di una coscienza divisa, lacerata tra obbedienza e pietà. E il destino alla fine gli ha presentato il conto. Ecco, allora, perché ho fatto bene a dedicargli del tempo, a Mano Cattiva: perché mi ha ricordato che di scrupoli oggi non si ragiona più, è una parola desueta, un concetto ostinatamente superato. E che sarebbe invece il caso di ricominciare a farseli venire, con tutte le guerre quotidiane che combattiamo e che vinciamo, talora, con l'inganno e l'anima zitta.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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