Delle cose si comincia a scriverne quando le hai perdute, non se sono ancora nei paraggi, perché la distanza aguzza la vista più delle vignette quasi identiche da comparare, nei giornali di enigmistica. Per questo ho aspettato di esserne lontano - dai disastri, dal disamore, dalla tentazione del vuoto - prima di raccontarne le circostanze. È complicato per le mie piccole doti vivere e parlarne, non c'è la necessaria lucidità, e c'è invece il rischio della incompletezza, della storia monca: non riuscirei a darle un motivo per cui sia valsa la pena perderci tempo. Un sussulto, un'emozione: parlo di roba del genere. Ragionare d'amore senza essere innamorati, ma essendolo stati, è un gran vantaggio; per questo io non ne parlo mai, o assai di rado: perché ne sono ancora invischiato. Frequento sentimenti laterali, allora, piccole nostalgie, pomeriggi indecisi tra inverno e primavera, ore legali che allungano il chiaro e mi sorprendono a bere leggero, evitando poi, per eccesso di scrupolo, i posti di blocco. Certi, di quei sentimenti sghembi, li sollecito, li scovo, e mi ripagano di parole discrete, che qualcuno - bontà sua - gradisce. Altri arrivano tra capo e collo quando tra la mia testa e loro c'è la stessa distanza di qui con Plutone, ma tant'è: sono ben accetti lo stesso. Succede se qualcuno mi racconta un fatto del passato che non sapevo, o - come stamattina - un dettaglio inedito di una avventura nota. A quel punto spingo play e la requisitoria contro la smemoratezza viene giù senza freni, spacca le dighe e dilaga. Mi han fatto ricordare lei, certuni, stamattina. Il particolare che lei sia un posto e non una persona non è importante. E a dirla tutta non è nemmeno un posto: è una casa. Quella che è stata la mia casa, dal 2004 al 2016. L'ho rivista, dietro le quinte degli occhi, dove stanno tutte le immagini ostinate, mentre quei tipi dicevano di averla ristrutturata, smembrata, e parlavano di soppalchi, fondelli, angoli cottura spostati. Non sapevano ch'io fossi il vecchio proprietario, erano dei muratori, sono passato là sotto e ne parlavano: è stata una coincidenza. Il dettaglio mica tanto minore era la ristrutturazione: credevo l'avessero lasciata com'era, perché era bella. E io l'ho rivista, però, ancora intatta: ho rivisto le sue poche stanze, le stagioni prima formidabili e poi atroci che l'hanno attraversata, le domeniche mattina a far colazione coi Krumiri, il caldo spaventoso di tre o quattro estati, la 600 parcheggiata davanti al palazzo degli albanesi cui probabilmente gli stessi albanesi, per avvertimento, alzarono i tergicristalli, i litigi teneri dei due anziani dell'ultimo piano - lui che faceva uno sciroppo alcolico che un giorno colò sul nostro terrazzo, e io aprendo la bocca mimai lo scherzo di berlo. Per cui, per cui, per cui. Per cui meno male che ero alla giusta distanza, da tutto quel mare di giorni. O mi sarei messo a piangere come un povero allocco.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
Commenti
Posta un commento
Grazie per aver commentato il mio post