Passa ai contenuti principali

Viaggio di ritorno

Specie quando l'inverno ha acquartierato i suoi soldati di ghiaccio per la campagna, mi salta in cuore la voglia di un mare luminoso, per il paradosso tutto umano di desiderare sempre il contrario di quello che si ha. I doppi vetri mi dividono dalla tristezza, che pure al grigio dei viali si intona, mentre canta la sua canzone ventosa. Astrarsi, così, è naturale: un bisogno, una strategia di difesa. Oggi ci ho abitato, in quel sogno, e ho rivisto Vieste, Mykonos, e certe altre spiagge delle mie estati viaggianti, quando m'aggrappavo alle balaustre dei traghetti, davo il cambio alla guida di una decappottabile, e  insonne cercavo un ristorante aperto tra Olbia e Budoni - per poi trovarlo là dove rapirono Faber, o nelle vicinanze, e la radura con le lampadine colorate aveva il tratto del mito. Quella sera bevemmo di gusto e io ricordai il breve passato che avevo alle spalle - qualche suo barbaglio, beninteso; - così oggi, che riannodo quel tempo, nasce una sorta di memoria al quadrato, una follia tutta franceschiniana. C'era una donna che - a notte - accese delle candele dentro otto bicchieri panciuti, li poggiò su una roccia e ci disse Avvicinatevi, e si mise a dire, e si mise a fare. Guardò le fiammelle guizzare, chiese chi volesse sapere il futuro e per scherzo la ragazza che era con me disse Io, incautamente. Quella strega, che era bella però come un amore mancato, scrutò e impallidì, e cambiò quel che aveva visto con quel che era innocuo, rincuorante, anzi, e mascherò il vaticinio. Vide il dolore e mentì. Per un giorno e mezzo ci sono riandato, a questa cosa, giusto giovedì, che compivo gli anni. Lo spavento assoluto me l'ha rifatta familiare, chissà per quale alchimia: è bastata una telefonata di un medico allarmato, e le seccature che sembrano insormontabili son diventate idiote. Anche giovedì cercavo un ristorante, non in Sardegna ma in mezzo a un accenno di bufera, in Valnerina. C'era un antigene ribelle, nelle mie analisi. La corsa a capirci qualcosa, il presagio di un altro disastro, il cinismo di un secondo dottore che dice la diagnosi più atroce come una possibilità e alla fine la guarigione. Prima ancora della malattia: falso allarme. E come viaggio di ritorno, credetemi, è stato il più fantastico che abbia mai fatto.

Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...