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L'apparenza


Ha nevicato per scherzo, ieri, in mezzo alla mattina, e però sembrava facesse sul serio, attaccava - sulle greche del giardino, sul muricciolo di cinta dell'orto, - ma in capo a un paio d'ore è finita, come una passione senza costanza. Così ho preso per il sentiero che dal retro di casa si arrampica nel bosco e a una cinquantina di metri dalla cima, dove ricomincia la strada asfaltata, ho visto una cosa che sembrava un cinghiale, fermo, in mezzo alle foglie. Come la neve, era un inganno: un tronco schiantato - da un fulmine, da una gang di taglialegna, vai a saperlo. E quindi, niente: l'apparenza ha più credito della verità, spesso e di buon grado, come la Fata Morgana ingannava i marinai al largo di Messina con la sua rifrazione assurda, prima che l'Ottica ne spiegasse il mistero. Ho pensato, per associazione di idee, alla prima volta che incontrai la parola forte in una versione di latino. Era qualcosa come Ad Ianiculum forte ventum erat, Tito Livio mi pare, sarà stato in quinta ginnasio, e d'istinto tradussi C'era un vento forte, sul Gianicolo, e tutto convinto di aver fatto un capolavoro mi pavoneggiai, a casa e in piazza, con gli amici, la sera. Non mi venne neanche per sbaglio il dubbio che in quella frase ci fosse un inganno lessicale, una trappola spalancata dove cadere con tutte le scarpe. Davanti al 3 di quel compito in classe, sbollite le madonne, imparai a prendermela con me stesso, per le mie frescacce, prima che con gli altri; imparai, non senza ricadute nel tempo, ad andarci coi piedi di piombo, incontro alle cose che sembrano ovvie. Perché son quelle che ti fregano meglio, indiscutibilmente. Conosci l'aggettivo fortuito? - mi chiese la prof. E io Certo, significa casuale. Bravo - aggiunse; - pensa che deriva da quella parola, che è un avverbio, che tu hai tradotto così scelleratamente. Mi sentii un cretino, assieme a metà della classe, che aveva tradotto come me. L'altra metà manco c'era arrivata, a quella riga. Forte: per caso. Era arrivato per caso sul Gianicolo. E certo: parlava di Tarquinio Prisco, no? Deficiente, deficiente, deficiente. Lo ripetei tre volte - sottovoce, - le stesse che Pietro rinnega Cristo prima che il gallo canti, in quella storia di gran fama. Come avevo potuto essere così precipitoso? Era semplice, bastava usare un po' di cautela, non dare niente per scontato: l'ovvio è una macchinazione ai danni dell'uomo. E comunque, mica l'ho imparata bene, dopo quella storia, la lezione. Certe altre cantonate ho preso, in amore e in guerra... È questo il bello dell'esperienza, alla fine: non serve a niente. Ogni volta il vento soffia forte sul Gianicolo, e ogni volta ti scaraventa giù dalla tua presunzione di aver capito tutto fino in fondo.






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