Se prendo a camminare forte e rinnego la stanchezza, e ignoro le suppliche dei muscoli, finisce che mi ritrovo, a sera - allo sfinimento - lontano dalle querele degli esseri umani, lontano dalle loro case, dalle autostrade, e precipitando indietro di un paio di secoli sconfino in un posto di alberi fitti, ghiandaie che ci attrezzano nidi spericolati, e nessun sentiero più da assecondare. Sono allora, e finalmente, irrintracciabile, e dagli essere umani stessi e dal campo di qualsiasi cellulare. A quel punto respiro, faccio un po' di stretching, mi siedo sugli anni circolari di un tronco schiantato e immagino come sarebbe costruirci casa, tra quei paraggi. La mia immaginazione personale, affamata di paura sin da ragazzino, avrebbe di che saziarsi: una volta incontrerei il lupo loquace; una volta uno sposalizio di libellule; una volta - nella radura - il cerchio delle fate, e là mi apposterei, notturno, per soprenderle in balli e suoni di ocarine. Eccola l'ampiezza della mia vita, vissuta, una buona volta, non più solo in lungo ma in largo, non solo procedendo ma sostando, apparecchiando di spuntini un prato, facendo caso agli agrifogli spezzati, segno del passaggio di un Mazaròl o di un Barabanén - suscettibili esserini della cui amicizia fidarsi giusto un poco. Guardatemi, porto con me l'essenziale: un sacco a pelo, zolfanelli per la lanterna, sandwiches di pollo e insalata, La danza degli gnomi di Gozzano - per ingannar l'attesa delle visite fantastiche. La notte mi copre, a un certo punto, come per cancellarmi - e agli occhi del mondo e alle mire di dio, stravaganti e ambigue, E se fossero la Puglia, la Basilicata, coi loro appennini aspri; o viceversa il Trentino colle sue gole perenni, che importa? Tra il fogliame muffoso, la resina che goccia pietrificata, gli scoiattoli che attraversano via dalle strisce pedonali, mi diverto un mondo, a fingere anch'io di far parte della stessa avventura. E se fosse America, se abitassi per un fine settimana le foreste attorno al Bluff Creek - e senza far caso all'inganno già nel nome - mi armerei di coraggio a intuire fuori della canadese la sagoma del sasquatch. Che è sempre meglio lui dei mille mostri che ho lasciato nella civiltà.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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