Passa ai contenuti principali

Castello di spettri e di vento

(foto di Simonetta Sperandio)
Cammina e arrampicati, cammina e arrampicati - me lo ripetevo ieri dopo un pranzo leggero di pane di Lugnola e prosciutto nostrale - strepitoso - nel momento in cui i miei occhi hanno visto per la prima volta Celleno. Un altro dei miei viaggi ispirati dalla curiosità di scoprire cosa c'è nella memoria d'Italia, nella sua pancia, nei castelli abitati da spettri e vento, eretti mattone su mattone, malta su malta, per calcolo di equilibrio e olio di gomiti. Ottobre sudava e caracollava dentro a un caldo inspiegabilmente estivo, e io con lei. Ma perdersi d'animo e rinunciare non fa per me, neanche se - come appunto ieri - mi trovo davanti una salita micidiale che curva a verso di mulattiera fin sotto la porta d'ingresso, e il sole picchia allegre randellate sulla testa. Volevo entrarci tutto fiero, nell'acropoli di questa roccantica viterbese, piccolina e sghemba, sbreccata sulla cima delle torri, romanica nei resti, simile a un presepio in cui son rimaste solo le case, e certe finestre sono cieche, altre quadri di buio - e così ho fatto. Da lassù scappa la vista ai Cimini, che sembrano il risvolto sbrodolato di una torta in forno, un cordulo di pasta verde che infiamma di ruggine qua e là, dove l'autunno impreca l'afa e rammenta a tutti che il tempo è il suo. Ci hanno fatto un sentiero tra le voragini, dentro al borgo. Devo camminarci attento ai tranelli, alle buche improvvise, senza scantonare, ché per incolumità una guida apre il gruppo e una la chiude; e insieme devo tener da conto le installazioni d'arte tra le macerie - lombrichi rosa che spuntano dal terreno, uno scheletro in una teca di vetro: - è la volontà dell'uomo di dare un senso, una lettura, al disfacimento. Che qui però è letterario, e mi dà di che #scrivere, mi regala la contentezza di farlo e - garantito - sani brividi se ci tornassi di notte. Mi raccontano che gli ultimi che ci abitavano sono morti nel 2017. E allora sui camminamenti, a far cucussètte! dalle feritoie, sopra i terrapieni che hanno coperto magazzini e stie, al riparo degli archi che reggono le stanze signorili, compaiono ancora quando nessuno li vede - fantastico io. E un po' ci spero. Loro e i loro antenati, fino al medioevo e più indietro. La strizza a dormirci - che so: in sacco a pelo - sarebbe fantastica. Fateci un salto, da qui a dicembre, armati di fotocamera e un taccuino per gli appunti - se siete scrittori. E se non lo siete, poco male. Meglio non inflazionare il mestiere. In ogni caso, della gita e della bellezza che ve ne resterà appiccicata, forse un poco mi sarete grati.



Commenti

Post popolari in questo blog

Avvento

Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

Tre circostanze fortunate

Tu adesso chiudi gli occhi che io ti do un bacio. Chiudi gli occhi perché il bacio non devi vederlo arrivare, devi fare in modo che l'attesa sia una fitta dentro al petto, che la mia bocca s'aggrappi alla tua quando non ci contavi più, quando pensi che me ne sono andato e t'ho lasciata là, ingannata e cieca. Mentre aspetti il tempo ti sembrerà differente - il tempo dell'attesa di un bacio sfugge alla gabbia consueta - e se alla fine ti chiedessero di contarlo dovresti fare come i bambini, con le dita, e sarebbe lo stesso un inganno. Non è una questione di età, io ho la mia e tu la tua, non siamo alle prime armi. Ma anche la tenerezza - perché è di questo che stiamo parlando - muove con un tempo tutto strano, asincrono, ed è la stessa di quando avevamo vent'anni - tu più di recente - rinvigorita però dall'autostima, che alla giovinezza non si addice. Poi vorrei tenerti addosso, come in quella canzone di Paoli, stringerti alla mia camicia bianca e dirti che probab

Alcune ragioni contrarie all'infelicità

Perché sei infelice? Perché non riesci a starci dentro, alla felicità, per più di dieci minuti? Io credo che dovresti ragionare su queste domande, così intime e così terribili. Se vuoi ti do una mano, molti dicono che ci somigliamo, sarà più facile per me che per un altro suggerirti una via d'uscita. Sei infelice nonostante tu faccia tutti i giorni quello che ti piace. Pensa se non fosse successo, che avessi quei piccoli talenti che alcuni ti riconoscono: parlare in radio con disinvoltura, scrivere con leggiadria, tenere avvinti venticinque ragazzi con un poeta che per la prima volta non sembra loro inutile. Pensa se non avessi quei piccoli talenti ma fossi divorato dal desiderio di averli, e ogni tua invenzione passasse inosservata, o peggio fosse evitata come la peste. Questa attenzione che ti dedicano, non è già motivo di felicità? Le parole - lusinghiere -  che ti regalano a corredo delle tue, non sono una buona ragione per essere felici? E quando hai viaggiato per l'Italia