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Scrollarsi di dosso

Quando passano più giorni del lecito tra un post e l'altro qualche amico si preoccupa: Hai smesso di scrivere o è solo che hai altro per la testa? Non ho smesso di scrivere, come potrei? Ho solo rallentato, come altre volte accelero. Sono in cento faccende affaccendato,  mille progetti approgettato, centomila bellezze abbellezzato, tutta roba in cui c'entra la parola, culto e motore di ogni azione. L'uomo malinconico si barda e diventa lo scrittore ironico, il narratore leggero di cose serie, e combatte così il suo fondo di depressione genetica. Ne vengon fuori belle storie; il contrario - il brillante che si finge intimista - non è credibile, non cava un ragno da un buco. Per cui son fortunato.
Vedo uomini privi di decenza che a cinquantanni spiano per via ragazze poco vestite: non ho mai sofferto di questa demenza senile. Lavoro sulla mia felicità, invece, e difendo fino all'ultimo respiro il mio amore coetaneo, la sua consapevole volontà di esserlo fino alla fine del mondo, l'unico approdo certo tra tanti ipotetici naufragi. Leggo a sfinimento e confronto la mia scrittura con altre, e provo sollievo e invidia. Non dirò se più l'uno o l'altra. Ho morso Le correzioni di Franzen e finora lo trovo denso e inospitale: non è facile scovarmi la voglia di riaprirlo ogni sera ma tengo duro. E ho riletto Ossi di seppia, per il mio progetto farneticante di raccontare in pubblico che la letteratura seria è un gioco e a giocare ci si diverte. Ho esordito coi Promessi Sposi, la gente rideva, buona la prima, si torna in scena. Compro meno musica di un tempo, seleziono. Ieri però due dischi in un colpo solo. Mi piaceva da ragazzo comprare le cose a paio: due fumetti insieme, due libri, perché se uno non mi piaceva mi consolavo con l'altro, non considerando che potessero schifarmi tutti e due. Ieri ho riabusato di questo antico vezzo: Fausto Mesolella che canta Benni e Il tramonto dell'occidente di Mario Venuti. Quaranta euro che non potevo spendere meglio. Per una di quelle coincidenze che da scrittore mi piacerebbe orchestrare, Mario cita Montale: di noi sappiamo solo ciò che non siamo. La canzone - Tutto appare - è linkata qua sotto.
Alla fine dei conti la musica, le parole che a milioni leggo e scrivo, i film che sono piccole epifanie, a questo servono, se mai l'arte ha una funzione non solo estetica: a farmi capire che questa storta vita è altro che ansie inutili, cautele, rinunce. Altro che riempirla di vuoto. La vita, la mia, è scrollarsi di dosso ogni resistenza alla felicità. Come la zavorra che si getta dalla mongolfiera, sgombro il cervello di tutti i pesi che ci ho messo io stesso, e volo più leggero, più in alto e a favore di vento.





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