Guardo come sei sfrontata, come nobiliti ancora quella curva, come da quel cantone ti fai beffa degli uomini e li osservi muta. Guarda come resti identica, ogni anno che vola. Ciao pietra, non avertene a male ma fai un po' rabbia. Ti passo davanti ogni giorno, e ogni giorno perdo un centinaio di capelli, e gli occhi perdono allegria, il viso si riga attorno agli occhi, le spalle si curvano d'un altro grado, le gambe stentano dove ieri andavano sicure e tu sei sempre uguale a quando ero ragazzo, a quando era ragazzo mio padre, a quando mio padre non era nato e mio nonno tornava dalla guerra dopo aver lasciato un figlio in Albania. Vorrei essere te, pietra, vorrei avere la tua struttura, il tuo cuore di sasso, l'anima imperturbabile, e aver sentito pronunciare parole come nostalgia, malinconia, rabbia, dolore, solitudine ma non saperne il senso, solo il suono. Ti hanno guardato tutti coloro che ho amato, coloro che ho detestato e a cui ho promesso battaglia, salvo poi trattar
Tra i ricordi dimenticati per infinite stagioni e poi riapparsi in barlume come luci di un temporale c'è la domenica d'inverno, quella dei miei undici anni, verso le cinque di pomeriggio. A quell'ora, con l'aria torbida della sera che si mangiava le case, con le facce rosse e i calzoni schizzati di fango, rincasavamo col pallone e gli skate saltando i gradini a tre a tre per via del Monte e incontravamo le donne che dopo aver rigovernato la cucina si riposavano sulla porta di casa, chiacchierando stridule colle vicine da un cantone all'altro. Tra noi c'era chi si fermava a mezza strada - sua madre lo aspettava perché le desse una mano per la cena - e chi tirava lungo, col sudore che gli si freddava addosso e alla notte avrebbe smaniato di febbre. Io calavo sempre inquieto perché non sapevo di che umore avrei trovato mio padre, se mi avrebbe sorriso, carezzato la testa e se avremmo guardato insieme i gol o se invece sarebbe rimasto tutto il tempo in disparte, tor