Passa ai contenuti principali

Post

Post in evidenza

Il racconto breve

Il racconto breve è un bacio appassionato, uno solamente, per questo io ne scrivo così tanti, per assaporare ogni volta che posso le labbra che vedo in sogno. Comincio a scrivere e mi avvicino alla tua bocca, arrivo a metà e ti sfioro le guance, poi mi allontano perché capisco che quel che ho scritto non ha struttura, ne butto un gran tratto e ricostruisco da lì, dalle prime rigoline orgogliose, e tiro dritto fino alla fine, così posso finalmente toccarti. Il racconto breve è uscire a cena insieme una volta sola e ricordare quella meraviglia per tutta la vita, una eredità di stupore; il racconto breve è rubare una sera al computo immane della vita intera ed esserle grato per sempre, perché in quella sera ti sei riconosciuto. Il racconto breve è carne che sanguina e sabbia che scivola dal buco delle dita, quando le tieni chiuse a pugno. Il racconto breve è la salvezza, la bellezza, il sortilegio che ti salva in una notte di luna piena dalla licantropia. Il racconto breve è una felicità ...
Post recenti

Fisioterapia

Oggi compro un berretto blu da lupo di mare, una giubba coi bottoni dorati e il bavero grosso e salpo per le Americhe. Lascio giù tutti i malintesi, gli amori trattenuti, le confidenze fatte agli estranei e navigo fino in Uruguay, dove provocherò nuovi malintesi, tratterrò altri amori che dovrei lasciar andare e racconterò le faccende più intime a gente conosciuta un quarto d'ora prima. Va così forte la vita che non riesco a starle dietro. Non parlo solo di velocità, quello sì, diamine, è una centometrista, ma proprio di intensità, di giorni che sfiancano per quanto sono gonfi di letteratura popolare. Per quattro mesi, l'anno scorso, ho raccontato i cavoli miei a una fisioterapista per poi, una volta guarita la spalla lussata, perderla di vista. Ora lei, ragazza sveglia che leggeva Camilleri, sa di me le tentazioni più appuntite e in teoria potrebbe scrivere la mia biografia, mettendomi in imbarazzo davanti al mondo. Il guaio è che non so rinunciare a raccontare, quando sono in...

Il sangue di Ulisse

Irene mi disse se le prestavo la macchina, andava e tornava, ma non specificò dove. Avevamo ventidue anni, lei era rigorosa, fatta di quella bellezza non comune che impressiona gli uomini di gusti difficili, non svenevole, una ragazza dagli zigomi forti, a parer mio strepitosa. Ma non era una che potesse piacere a tutti. Le risposi che l'aspettavo sotto casa, c'era un giardino, una panchina, dovevo preparare Storia greca, ne avrei approfittato per studiare un po'. Quando arrivò si appoggiò col suo sedere tornito alla staccionata, mi restituì le chiavi e disse Grazie. Io le dissi Ti devo fare una proposta. Non è un po' troppo per avermi prestato per mezz'ora la macchina? - chiese dispettosa. Scema, non è quello. Ma in fondo ci sei andata vicino. Le rivelai che Ulisse era nei guai, guai di salute, ci rimase male. Andavamo in facoltà insieme, qualche volta, noi tre e altri che si aggregavano se gli girava. Il suo sangue ha qualcosa che non va, deve fare un trapianto di...

Lasciar andare

Forse ha ragione Alessandro Baricco quando dice che le cose passate vanno lasciate andare, senza mettersi a rincorrerle, senza trattenerle a tutti i costi, ma se facessimo davvero così, cosa rimarrebbe da scrivere? I compagni di scuola dell'ottantatré, gli occhiali da sole smarriti a Selinunte, gli amori creduti eterni, il sesso allegro con le amiche occasionali, non sono tutti pretesti narrativi di prim'ordine? Se li lasciassimo perdere, la bocca degli scrittori diventerebbe muta, e io non riuscirei a raccontarvi più niente. Io credo che scrivere - o raccontare a voce, che sono sostanzialmente gesti fratelli anche se uno è premeditato e l'altro innocente - sia la superbia più efferata: ti costringe a bagnare nel mito ogni stupido giorno. Se permettessi alle cose di scappare non ne avrei nostalgia, le scorderei, e la nostalgia è quella fune sottile che tiene insieme ieri e oggi, il momento in cui le cose accadono e l'altro, il momento in cui insistono per diventare paro...

La ragazza portoghese

Qualsiasi città graziosa, nella bufera e nel vento, come un palco di teatro dal fondale livido, diventa per chi ha l'indole di un Gozzano occasione narrativa irripetibile. In quelle circostanze, sfrontato, cammino senza ombrello e galosce perché Alda Merini una volta disse che gli oggetti utili le davano noia, e fingendomi poeta anch'io cerco e rintraccio la coda di una storia, o il suo incominciare, e poi ricostruisco a mia discrezione le parti mancanti. Tredici anni fa accadde a Siracusa, che uscissi dalla stanza d'albergo e mi mettessi a girovagare  in t-shirt e ciabattine dopo un temporale. Avevamo cenato sotto il patio di un ristorante di Ortigia, con una specie di mesta allegria che presagiva la fine ma che non ci impedì di essere felici, per quell'istante eterno. Poi Alessandra si addormentò, stanca di terapie, e a me venne voglia di comprarle un regalo: un paio di orecchini, o un bracciale a forma di onda. Nella via che porta alla Spiaggia di Cala Rossa avevo vi...

Dorothy

La dolcezza delle sere settembrine, a mezzanotte, sulla spiaggia  di Favignana, tra le onde luminose che ci pungevano i piedi: non credo di aver vissuto mai una felicità paragonabile a quella. In cento altre occasioni sono stato felice ma la profondità del sentimento alcune volte era meno un abisso, e invece nelle Egadi non se ne vedeva il fondo. Lì dimenticai gli acciacchi, la mia ipocondria, scordai che siamo preda del mercato, che qualcuno talora si fa beffe di noi e giurai solennemente che la vita mi piaceva. Lo giurai a una ragazza dagli occhi tristi e la bellezza manifesta, che giocava la sua indipendenza dentro una vacanza solitaria, in barba all'ex marito e ai suoceri fascisti. Si chiamava Dorothy, teneva coperta gran parte del corpo con camiciole e gonne a campana, aveva denti candidi e si immergeva senza fare una piega in certi romanzi di complessità fatale che io neanche ho mai sfiorato. Io ero con un paio di amici che la notte la passavano a dormire e mi ritrovai, inson...

Stagioni

Mi succede da anni, a questo punto della vita: a primavera inoltrata mi sento perduto. Finiscono tutte le imprese cominciate un autunno fa e solo la promessa che ne verranno altre, ad ottobre, mi tira fuori dai guai. Guai di malinconia, beninteso, di umore strambo, niente che non sia curabile con un po' di mare, di canzoni come si deve e di scritture possenti, ma pur sempre contrattempi di cui farei volentieri a meno. Giugno è un mese complicato, chiude la scuola, devo capire se ho meritato la stima ricevuta e scendere a patti con il sospetto che le mattine in classe, le narrazioni dense e leggere di quegli scrittori per cui ho una devozione infinita, non abbiano avuto poi un gran senso, né gettato semi nelle teste dei miei allievi. E termina un'altra stagione radiofonica, perché il capodanno degli speaker è adesso, il che comporta uno strascico di nostalgia invincibile se solo commetto l'errore di ripensare alle centinaia di ore in diretta, agli ospiti simpatici e antipati...