Il racconto breve è un bacio appassionato, uno solamente, per questo io ne scrivo così tanti, per assaporare ogni volta che posso le labbra che vedo in sogno. Comincio a scrivere e mi avvicino alla tua bocca, arrivo a metà e ti sfioro le guance, poi mi allontano perché capisco che quel che ho scritto non ha struttura, ne butto un gran tratto e ricostruisco da lì, dalle prime rigoline orgogliose, e tiro dritto fino alla fine, così posso finalmente toccarti. Il racconto breve è uscire a cena insieme una volta sola e ricordare quella meraviglia per tutta la vita, una eredità di stupore; il racconto breve è rubare una sera al computo immane della vita intera ed esserle grato per sempre, perché in quella sera ti sei riconosciuto. Il racconto breve è carne che sanguina e sabbia che scivola dal buco delle dita, quando le tieni chiuse a pugno. Il racconto breve è la salvezza, la bellezza, il sortilegio che ti salva in una notte di luna piena dalla licantropia. Il racconto breve è una felicità a breve termine, un impegno che dura uno scherzo di tempo, un amore che non pretende di essere ricambiato, un grumo di parole poggiate sul davanzale accanto a latte e cacao, per le domeniche d'inverno. Il racconto breve non viene a cercarti, non ti chiama, non ti lascia a metà quando caschi dal sonno, è inizio e compimento, è una cosa manifesta tutta in una volta, è la grazia leggera di una ricordanza. Il racconto breve sei tu, amore mio viaggiatore, che in qualche parte dell'universo devi pur abitare, tra le galassie, i buchi neri e i quasar. Il racconto breve è la nostra breve vita, troppo farcita di sottintesi per spiegarsi al cielo, così poco indifesa per non lasciarsi innamorare da tutto
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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