Oggi compro un cappello blu da lupo di mare, una giubba coi bottoni dorati e il bavero grosso e salpo per le Americhe. Lascio giù tutti i malintesi, gli amori trattenuti, le confidenze fatte agli estranei e navigo fino in Uruguay, dove provocherò nuovi malintesi, tratterrò altri amori che dovrei lasciar andare e racconterò le faccende più intime a gente conosciuta un quarto d'ora prima. Va così forte la vita che non riesco a starle dietro. Non parlo solo di velocità, quello sì, diamine, è una centometrista, ma proprio di intensità, di giorni che sfiancano per quanto sono gonfi di letteratura popolare. Per quattro mesi, l'anno scorso, ho raccontato i cavoli miei a una fisioterapista per poi, una volta guarita la spalla lussata, perderla di vista. Ora lei, ragazza sveglia che leggeva Camilleri, sa di me le tentazioni più appuntite e in teoria potrebbe scrivere la mia biografia, mettendomi in imbarazzo davanti al mondo. Il guaio è che non so rinunciare a raccontare, quando sono incoraggiato a farlo, e tra le tante storie inventate ci si infila sempre un peccato vero, una debolezza assecondata, che svelano di me più di quanto vorrei. Per cui. Per cui non chiedete mai a uno scrittore cosa lo attragga di più, se la realtà o la sua narrazione: la domanda è poco intelligente. Però, davvero, ho il buon gusto di star lì a impalcare memoriali con tutti i loro dettagli cocenti soltanto davanti a chi mi dimostra di averne curiosità. E davanti a chi, dimostrandola, si infila nel ragionamento da par suo, perché una storia si completa sempre in due, quando l'ascoltatore la farcisce di particolari essenziali, ignoti all'autore, a loro volta inventati ma perfettamente congrui. In Uruguay, dove secondo la tabella di navigazione arriverò alla fine di agosto, se il vento tiene e le vele non si squarciano, questa innocente perversione continuerà: mi dicono che in quel paese lontano le fisioterapiste siano particolarmente incuriosite dalle vite sghembe dei narratori.
Valerio, avevi ragione, dovevo lasciar andare. Ti ricordi che ne parlavamo? Io trattenevo, aggiustavo, incollavo. Tu dicevi "Sei stato bene con quella ragazza? Basta, non cercarla, non chiamarla". Oppure "Ti manca tuo padre, ne hai nostalgia? No, non darle retta, via, è finita". Dicevi che dovevo conservare la memoria ma senza ogni volta inseguire il passato: io ho sempre pensato che le due cose fossero inseparabili, mi hai aperto gli occhi. Così faccio con le case che ho abitato: non le guardo più le fotografie, che si secchino pure dentro gli armadi. Lasciar correre, lasciare indietro. Un suggerimento sensato, così facendo uno mette a posto il disordine delle stanze, ma si vive meglio in un ambiente in cui tutto è dove deve stare? A questa obiezione facevi spallucce, una finta di corpo - come quando giocavi mezz'ala e io al centro dell'area aspettavo il tuo cross per segnare - e uscivi dal bar. Forse pensavi Che testa di cazzo , ma con tenerezza, perché ma...
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