Oggi compro un berretto blu da lupo di mare, una giubba coi bottoni dorati e il bavero grosso e salpo per le Americhe. Lascio giù tutti i malintesi, gli amori trattenuti, le confidenze fatte agli estranei e navigo fino in Uruguay, dove provocherò nuovi malintesi, tratterrò altri amori che dovrei lasciar andare e racconterò le faccende più intime a gente conosciuta un quarto d'ora prima. Va così forte la vita che non riesco a starle dietro. Non parlo solo di velocità, quello sì, diamine, è una centometrista, ma proprio di intensità, di giorni che sfiancano per quanto sono gonfi di letteratura popolare. Per quattro mesi, l'anno scorso, ho raccontato i cavoli miei a una fisioterapista per poi, una volta guarita la spalla lussata, perderla di vista. Ora lei, ragazza sveglia che leggeva Camilleri, sa di me le tentazioni più appuntite e in teoria potrebbe scrivere la mia biografia, mettendomi in imbarazzo davanti al mondo. Il guaio è che non so rinunciare a raccontare, quando sono incoraggiato a farlo, e tra le tante storie inventate ci si infila sempre un peccato vero, una debolezza assecondata, che svelano di me più di quanto vorrei. Per cui. Per cui non chiedete mai a uno scrittore cosa lo attragga di più, se la realtà o la sua narrazione: la domanda è poco intelligente. Però, davvero, ho il buon gusto di star lì a impalcare memoriali con tutti i loro dettagli cocenti soltanto davanti a chi mi dimostra di averne curiosità. E davanti a chi, dimostrandola, si infila nel ragionamento da par suo, perché una storia si completa sempre in due, quando l'ascoltatore la farcisce di particolari essenziali, ignoti all'autore, a loro volta inventati ma perfettamente congrui. In Uruguay, dove secondo la tabella di navigazione arriverò alla fine di agosto, se il vento tiene e le vele non si squarciano, questa innocente perversione continuerà: mi dicono che in quel paese lontano le fisioterapiste siano particolarmente incuriosite dalle vite sghembe dei narratori.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
Si hai ragione Francesco!😊
RispondiEliminaSpero di sì
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