Guardavo la reclame di Mykonos, oggi, il suo mare spudorato, e risentivo l'alfabeto greco dei bettolieri, degli asinai che salgono alle fattorie incollinate mentre in spiaggia scoppia il finimondo, e le discoteche sparano al cielo tutta la musica che hanno, e così mi è venuta la voglia di tornarci. Che la prima volta ero ragazzo, ero appena uscito dalla fanciullezza, e le cose belle non le devi vedere con troppo anticipo, o ti paiono altro. Ho una foto in cui un'amica cattura un gesto mio di tenerezza, seduto su un promontorio incontro al sole calante, in bermuda e camicia coloniale, incosciente di tutto quello che sarebbe stato e perciò felice, la sera prima del traghetto del ritorno, non ancora ammaestrato dalla malinconia che viene quando stai per rincasare. E istintivamente ho frugato nelle scatole di scarpe in cerca di altre storie di quella vacanza sfrontata, e ho ricordato che mi aveva fatto bene sloggiare un po' da Narni, e viaggiare con l'accanimento dei vent'anni fino a Brindisi, e poi da lì fino a Patrasso - che è già un po' omerica, è già usa del ferro miceneo, delle sue mura, tanto che una volta lì sei ormai nel mito. Fa bene, viaggiare. Lo colloco, se non vi spiace che lo definisca un piacere, appena sotto a leggere e a scrivere, appena sopra al cinema, appena sotto, di nuovo, a far l'amore. Stanno tutte lì, queste avventure umane, aggruppate a sgomitare eppure amiche, perché la classifica è solo un gioco, e son tutte magnifiche. Nulla vieta - anzi: se succede è un trionfo - di praticarle assieme, e infatti in gita si legge, si scrive, ci si rotola gioiosi e ridendo di tutto, con la finestra di un albergo bianco aperta sull'Egeo - le tende che s'attorcigliano al vento - e la sera si punta il drive-in più americano che c'è. Ah che meraviglia, la vita piena. Tanto che son convinto che dovrebbero somministrarle i dottori, certe magnificenze, altro che gli antibiotici, altro che l'Oki, che buca lo stomaco. Così io andrei dalla Berardinetti, quando la fame d'aria mi spezza il respiro, o la dermatite mi squama la pelle, e lei dovrebbe segnarmi su quei fogli di ricette due settimane di Grecia, un paio di romanzi che non conosco, ma possenti, la nuova follia di Tarantino - rigorosamente al cinema - e zero castità. Mi raccomando, Franceschini - dovrebbe specificare: - su questo ultimo punto in particolare sia molto ligio. E così io credo che camperemmo tutti cent'anni.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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