Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da giugno, 2016

Condivisioni

Io ho fatto la rivoluzione e l'ho raccontata qui dentro quanto basta, talora troppo, e adesso scrivo quei romanzi che da ragazzo avrei desiderato leggere - e scusate la presunzione, non è un fatto di qualità ma di intensità, di orgoglio narrativo: spero si intuisca che dentro c'è il Francesco che con tutti i suoi limiti non si risparmia, c'è un uomo che non cambierebbe ciò che fa con nessun potere, nessun mestiere. E c'è tutta la scorribanda di ansie, estreme unzioni e riscosse rette dalla sua vita, che non è una e basta ma quattro o cinque, è un altro romanzo ancora, con una propria etica perversa, una logica che a tratti gli è baluginata, nella notte eterna che credeva. Per farla, la rivoluzione, ci vuole cattiveria, e paura di niente. Lui ne ha avute di paure che se voleste fargliele elencare tutte dovreste mettervi comodi, dargli tempo, una sera rinfrescata, fiori di zucca in pastella e una birra solenne. Poi ha avuto quella perfetta, che non scollava mai, ventiqua

Io non c'ero

Mio vizio antico è dare i nomi alle cose, perché le cose senza nome non esistono, non hanno l'anima; meglio se i nomi che do sono di persona, così ho intorno oggetti che respirano, con cui posso parlare. L'idea - per cui - è battezzare le stanze di casa, un'acquasantiera per ogni ambiente, a seconda di quel che raccontano, o ricordano. L'ingresso - con quella sua parete celeste cottage - è la stanza Poirot , pari a quella dei telefilm dove lui raduna tutti e risolve i casi cervellotici; è la prima che abbiamo nominato e chi non è d'accordo parli ora o taccia per sempre. Tanto qualunque cosa dica faremo come ci pare. Il terrazzo è Mirka , terrazzo femmina, l'epiteto giusto - che Mirka più che un nome è un brand - perché sta in alto come una torre d'avvistamento e ci ha voglia di avventura, come la mia ragazza, appunto, e l'orizzonte è avventura, con la paventata, coraggiosa, tinteggiatura arancio, che costa un botto, ci tenta un inferno e ci piace una

Presunzioni

Mentre sosto in macchina perché deve finire una canzone che trovo strepitosa mi passano davanti una ragazza che s'affretta alla maturità - ha un vocabolario nell'incavo del gomito e il piglio di sfida - e un attimo dopo una donna in giacca e cravatta: lugubre, ossuta. Spero - mentre distillano le ultime note - che la ragazzina non diventi mai una donna così,  e che una donna così non sia mai stata quella ragazzina. C'è troppo spazio/tempo, troppa filosofia belligerante, qualche quintale di atteggiamenti diversi e odori assai diseguali - la ragazzina profuma, la donna no - perché le loro vite possano essere vasi comunicanti. Questo è il bello degli scrittori: la loro presunzione. Cazzo ne sai te se quelle due tipe sono come le racconti? Cazzo ne sai se una puzza - di cosa, poi? di carrierismo? disperazione? - e una è un prato fiorito. Pure, spacci per verità le fantasie improvvise, quelle che ti sovvengono mentre recuperi le chiavi della radio sotto il sedile e pensi che og

Venti minuti

Ecco, questo è uno di quei plotoncini di tempo che non cederei a nessuno per nessun prezzo. Questi venti minuti in cui scribacchio e la mia testa si disintossica, e ripassa quel che è successo ieri e stamattina: i due nuovi laboratori di scrittura partiti in grazia di dio e con divertimento. E la mia vita si gode gli incisi meglio del discorso principale, che si dà il caso sia uno dei segreti della leggerezza. Mi viene voglia di un caffé, di un libro di De Crescenzo e di una canzone di Bersani. Non nell'ordine, proprio tutto assieme, appena mi riò dal sonno pomeridiano, che mi copre come una coperta alle quattordici, in tutte le stagioni. Se no sto male. Ho la scocciatura che mi va un caffé fresco, non quello ribollito del mattino; e la fortuna che su una mensola c'è una caffettiera da due pensata per i romantici, ossia per me. Mentre viene sincero, come un uomo onesto solo dentro la sua donna, cerco nella mia biblioteca ingolfata di titoli accumulati senza metodo ciò che fa a

Giorni così e giorni cosà

Io ho capito che vita mi piaceva fare quando ho cominciato a farla. Prima, nell'altra vita, più ordinata e prigioniera, ogni tanto si apriva un varco - metti alle cinque del mattino, per un'insonnia assalita, - ci guardavo dentro e c'era un'esistenza alternativa, e ne intuivo la disposizione, come i mobili in una stanza; poi riaddormentavo, e alle otto lo credevo un sogno come tanti. Adesso è anni che dormo a salti, può darsi fino alle sette o più spesso fino alle cinque - l'insonnia rara di un tempo è diventata mia compagna - e tra le coperte scalciate, mentre invoco un altro boccone di quiete, ragiono sul da farsi. E, vi assicuro, è un ingorgo di cose che vanno e vengono, si incolonnano, scapicollano,  fanno a chi corre più svelta, e al contrario della giovinezza, quando il futuro era previsto e vagamente noioso, ora è tutto adrenalinico, e potenzialmente cardioletale. Ma non saprei vivere in un altro mo(n)do, ora che l'ho sperimentato. Ho finito ieri di scri