Passa ai contenuti principali

Io non c'ero

Mio vizio antico è dare i nomi alle cose, perché le cose senza nome non esistono, non hanno l'anima; meglio se i nomi che do sono di persona, così ho intorno oggetti che respirano, con cui posso parlare. L'idea - per cui - è battezzare le stanze di casa, un'acquasantiera per ogni ambiente, a seconda di quel che raccontano, o ricordano. L'ingresso - con quella sua parete celeste cottage - è la stanza Poirot, pari a quella dei telefilm dove lui raduna tutti e risolve i casi cervellotici; è la prima che abbiamo nominato e chi non è d'accordo parli ora o taccia per sempre. Tanto qualunque cosa dica faremo come ci pare. Il terrazzo è Mirka, terrazzo femmina, l'epiteto giusto - che Mirka più che un nome è un brand - perché sta in alto come una torre d'avvistamento e ci ha voglia di avventura, come la mia ragazza, appunto, e l'orizzonte è avventura, con la paventata, coraggiosa, tinteggiatura arancio, che costa un botto, ci tenta un inferno e ci piace una cifra. Poi viene la camera Meryl, per via dell'attrice più seria in circolazione, che è un pallino familiare; quella Gabriele Basilico, per via delle foto miracolose che faceva e che sono il bianco e nero in trionfo; e poi non lo so: per quelle altre siamo in stato interessante. Mica Roma l'hanno fatta in un giorno. Così fra trent'anni, quando ne avrò un numero sufficiente a darmi una calmata, potrò dire di aver vissuto in una casa dalle passioni variopinte. È che non mi piace subire l'estro degli altri, non mi sarei mai accodato alle migliaia di stupefatti che sono andati a camminare sulla passerella di Christo sul lago, manco se mi pagavano, manco se mi fossi chiamato Giuda Iscariota ( ommagari sì: in quel caso gli avrei dato una spinta); mi diverto solo se posso contrabbandare un po' di cose mie, cristalli di mescalina come fa Laila col signor Bini - e se non sapete di cosa sto parlando aspettate che partorisca il terzo romanzo. Io non spaccio droghe e non ne consumo, ma mi faccio di memorie che poi diventano parole future, ricordi che trasmutano in avvenire: è l'alchimia perfetta. Ora per crearne altre c'è anche la casa giusta. E se volete vi ci invito.

Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...