Passa ai contenuti principali

Presunzioni

Mentre sosto in macchina perché deve finire una canzone che trovo strepitosa mi passano davanti una ragazza che s'affretta alla maturità - ha un vocabolario nell'incavo del gomito e il piglio di sfida - e un attimo dopo una donna in giacca e cravatta: lugubre, ossuta. Spero - mentre distillano le ultime note - che la ragazzina non diventi mai una donna così,  e che una donna così non sia mai stata quella ragazzina. C'è troppo spazio/tempo, troppa filosofia belligerante, qualche quintale di atteggiamenti diversi e odori assai diseguali - la ragazzina profuma, la donna no - perché le loro vite possano essere vasi comunicanti. Questo è il bello degli scrittori: la loro presunzione. Cazzo ne sai te se quelle due tipe sono come le racconti? Cazzo ne sai se una puzza - di cosa, poi? di carrierismo? disperazione? - e una è un prato fiorito. Pure, spacci per verità le fantasie improvvise, quelle che ti sovvengono mentre recuperi le chiavi della radio sotto il sedile e pensi che oggi ci sarebbe anche il tempo per fare l'amore, che è qualche giorno che non.
Ma è che sei allegro. Allegro nella tua tristezza apparente, nella malinconia che mostri, occhi mesti nella felicità. Perché son successe cose mirabolanti, da qualche frangente, e annusi aria di mutazione. Chi non cambia muore, o se gli va bene fa tutto il viaggio in prima. E le marce basse frenano. 
Le cose mirabolanti tuttavia non te le sei sognate: a Narni han vinto certi colori che volevi tatuarti, l'hai detto come voto perché non succedeva dal 2004 e adesso ti tocca; a Roma ne han vinti altri e forse non vedremo le Olimpiadi al Colosseo, che non è proprio una tragedia; ieri hai deciso che il tuo libro era abbastanza osceno e bello e concluso da allegarlo a una mail e via. Sarà carta, speriamo, prima della fine dell'anno. E poi tutte le centinaia di mesi che hai addosso ti fanno cambiare i gusti, modificare le prospettive, che è una cosa sana, buona e giusta, come la Fenech dei vecchi tempi: la bellezza perfetta. Hai visto altri due film miracolosi e - cavolo - erano italiani. Fai proselitismo tra gli amici e con tua figlia. Diffidano. Loro sono americani, nell'anima e nelle pupille. Però La pazza gioia e Perfetti sconosciuti sono due robe potenti. Diverse, diversissime. Ma potenti; così tanto che non ne hai perso un fotogramma, una parola, un cenno, un gesto. Mi piacerebbe scrivere qualcosa - corta, lunga, non lo so - che ha a che fare col cinema. Una storia dentro un film, e il paradosso sarebbe: gli attori che ci recitano in mezzo vivono in un mondo in cui loro come attori non esistono. Perché sono alias, sono altri nomi, altri mestieri. Quindi un mondo impercettibilmente diverso. Che è quello più strepitoso da esplorare se hai un debole per la surrealtà.

A proposito (anche) di cinema italiano: Riccardo Cocciante, La nostra lingua italiana
https://www.youtube.com/watch?v=w3Q0O2CIzXs







Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...