Io ho capito che vita mi piaceva fare quando ho cominciato a farla. Prima, nell'altra vita, più ordinata e prigioniera, ogni tanto si apriva un varco - metti alle cinque del mattino, per un'insonnia assalita, - ci guardavo dentro e c'era un'esistenza alternativa, e ne intuivo la disposizione, come i mobili in una stanza; poi riaddormentavo, e alle otto lo credevo un sogno come tanti. Adesso è anni che dormo a salti, può darsi fino alle sette o più spesso fino alle cinque - l'insonnia rara di un tempo è diventata mia compagna - e tra le coperte scalciate, mentre invoco un altro boccone di quiete, ragiono sul da farsi. E, vi assicuro, è un ingorgo di cose che vanno e vengono, si incolonnano, scapicollano, fanno a chi corre più svelta, e al contrario della giovinezza, quando il futuro era previsto e vagamente noioso, ora è tutto adrenalinico, e potenzialmente cardioletale. Ma non saprei vivere in un altro mo(n)do, ora che l'ho sperimentato. Ho finito ieri di scrivere il terzo romanzo serio: le cose precedenti sono tappe di avvicinamento. Ho raccontato una storia che in certi tornanti facevo fatica a muovere, tanti sono i pulsanti che dovevo toccare, come fossi davanti a una consolle della Nasa. Credo sia la cosa più complicata che ho mai scelleratamente evocato, e per questo - per sopravvivenza - è più concisa delle altre due. La bellezza però è che è semplice da leggere: c'è questa pretesa, almeno. Spero si apprezzi quanto sia difficile scrivere una roba così, senza falsa modestia e con tutta l'umiltà del caso. Mentre scrivevo ho cominciato a vedere sempre più chiaro cosa volevo dire, il motivo dell'atto di presunzione che è fare un romanzo del genere. Ha a che vedere con i giorni, e col fatto che per quanto mi riguarda ce ne sono di due tipi: quelli a colori e quelli spenti. Nel libro li chiamo in un altro modo ma non mi va di anticiparlo: potrebbe essere il titolo. Così contentatevi di quella distinzione comune. Sta di fatto che i giorni spenti sono la maggior parte: giorni trascinati, imprecati. In quelli a colori ci scocca dentro la pancia una scintilla di felicità - conta molto dove siamo; il mare presempio, e la compagnia che c'è, e il perseverare su certe orme antiche adolescenti combuttano a favore - ed è scemo chi non la usa per far partire il motore, e non la riscocca appena s'ingrigia di nuovo l'orizzonte. Infine ha di buono che è una vicenda amorale (ma tutt'altro che immorale), erotica e disinvolta, con un finale perfido la cui ultima parola è sentimenti. Ho usato il bilancino del farmacista, per misurare in microgrammi tutte quelle sostanze. La dimostrazione che non mi hanno dato alla testa è che sto qui a parlarne. Caso contrario, come potreste tra qualche mese leggerlo e dirmi impunemente ciò che ne pensate?
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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