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Visualizzazione dei post da marzo, 2025

Madeleine

Qualche volta sogno di aver paura, sentimento che nella realtà ho sconfitto e che di notte viene a prendersi la rivincita. Mercoledì ho sognato che avevo paura di entrare in radio perché convinto che, girato l'angolo del palazzo, sul portone d'ingresso ci fosse un uomo armato di bastone che mi aspettava per uccidermi. Così son rimasto lì sul marciapiede per quel tempo indefinito che governa gli incubi e quando mi sono svegliato era ancora buio, in strada è corsa una macchina con la musica a palla e per conforto ho cercato con la mano chi dorme accanto a me. Un altro inganno. Nessuno dorme accanto a me dal 2012 se non saltuariamente, il letto matrimoniale è diventato dispari, e io non ho amato anima viva per anni il che, giurano alcuni, è una discreta fortuna. Avevo smesso, a dirla tutta, poi di recente, cazzo, ho ripreso il vizio, come uno che non ha ancora capito che l'amore non esiste, ma non sono sicuro di volerlo confessare, è tutto così in bilico, immagino che resterem...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...

Le parole

Sono quindici anni che racconto di me: in tutto quello che ho scritto, che qualche editore gentile ha pubblicato, che tanti amici hanno avuto la generosità di leggere, ci sono io, camuffato o con la mia faccia nuda. Ho cominciato per difendermi dalla realtà, quando a mia moglie diagnosticarono una cosa stupida e feroce: il mieloma multiplo. Ho continuato quando lei se n'è andata perché a quel punto ho capito che era una terapia come un'altra, ma più di altre adatta alla mia indole vanitosa. Non so se tutti gli scrittori la mostrano, so che praticamente tutti ce l'hanno e io non faccio eccezione. Me ne sono reso conto quando ho capito che mi lusingavano i commenti della gente perché giocavano con la presunzione di essere artista, di saper modellare le parole e legarle ad altre dentro una sintassi che intercettava certi dolori collettivi e perfino certe nostalgie felici, e che dolori e nostalgie sono le ascisse e le ordinate della narrativa. Da allora, scrivere tutti i giorni...

Con la scusa del viaggio

Delle gole d'Appennino, dei ponti d'acciaio e cemento tirati da un baratro all'altro, vive il racconto del viaggio recente, settecento chilometri in un giorno, la paura di non farcela a restare svegli e il sospetto che qualche assassino si nasconda nei camion che ti sorpassano furibondi a venti centimetri dalla fiancata. Partiamo di giovedì, io e Susanna, un'altra mezz'ora e saremmo arrivati a Venezia ma il viaggio in fondo è una scusa per riepilogare quello che siamo: un padre e una figlia, e in mezzo una ferita così profonda che poteva dividerci e invece ci ha uniti. Prima di Firenze comincia il gioco delle canzoni, una a testa, una che piace a lei e una che piace a me, e ci parliamo attorno, è bello parlare attorno alle canzoni se hai una figlia che ci arriva, a certi significati nascosti, ben prima di quanto facevi tu alla sua età. Limitiamo al massimo le fermate, altrimenti tra una settimana siamo ancora in giro, però gli autogrill sono scrigni colmi di tentazi...

Tre ragazze

Un giorno quando sarai molto vecchio ti farò salire in macchina e ti porterò al mare. Tu avrai novant'anni, io molti di meno perché mi sarò conservato meglio. Torneremo sui nostri passi: i posti in cui dimenticando il tempo sei stato felice saranno lì ad aspettarti, discretamente intoccati. A nessuno dei due per un po' andrà di parlare. Ascolteremo il vento, invece, come capita quando la vita che hai davanti è un morso e sulle spalle reggi una gerla con tutte le cose vissute che non hai il coraggio di buttar via. Poi vorrai sederti sull'arenile e io ti imiterò, e speriamo che alla fine passi qualcuno a tirarci in piedi. Il cielo sarà gonfio e grigio, in giro ci saranno pochi speranzosi viaggiatori, arrivati con le loro nostalgie a festeggiare il due di aprile, o qualunque altro giorno sia il più importante della loro vita. Ti racconterò che mi sono innamorato un sacco di volte ma solo tre donne mi hanno spaccato il cuore e vorrai sapere se sono le stesse che hai amato anche...