Qualche volta sogno di aver paura, sentimento che nella realtà ho sconfitto e che di notte viene a prendersi la rivincita. Mercoledì ho sognato che avevo paura di entrare in radio perché convinto che, girato l'angolo del palazzo, sul portone d'ingresso ci fosse un uomo armato di bastone che mi aspettava per uccidermi. Così son rimasto lì sul marciapiede per quel tempo indefinito che governa gli incubi e quando mi sono svegliato era ancora buio, in strada è corsa una macchina con la musica a palla e per conforto ho cercato con la mano chi dorme accanto a me. Un altro inganno. Nessuno dorme accanto a me dal 2012 se non saltuariamente, il letto matrimoniale è diventato dispari, e io non ho amato anima viva per anni il che, giurano alcuni, è una discreta fortuna. Avevo smesso, a dirla tutta, poi di recente, cazzo, ho ripreso il vizio, come uno che non ha ancora capito che l'amore non esiste, ma non sono sicuro di volerlo confessare, è tutto così in bilico, immagino che resteremo in questa comica relazione muta per il resto dei nostri giorni. Per quello sciocco meccanismo che chiamano associazione di idee oggi ho preso per uno dei vicoli dell'adolescenza, quando rimestavo in testa stagioni altrettanto cieche - perché si cambia di fuori ma dentro tutto resta sostanzialmente uguale - e al momento di uscire in piazza m'è arrivato un odore di pastafrolla identico a quello dell'ottantatré, quando il bar sulla strada si mise a far dolci smettendo di comprarli altrove. La domenica mio padre mi mandava a fare la fila benché sapesse che non riuscivo a impedire che tutti mi passassero avanti, poi quando finalmente tornavo con i cannoli si lamentava che ci avessi messo tanto. Non c'è nessun caffè in quella parte della città, non più, l'odore è arrivato dal passato, una parte del mio cervello ha deciso che in quel momento, dopo quarant'anni, doveva tirar fuori quel sentore di vaniglia e limone e infilarmelo nel naso. Così è l'amore, allora, come l'odore delle cose passate: torna a suo capriccio e tu puoi metterci sopra tutte le croci che vuoi che tanto lui, sacrilego, te le distrugge in un niente.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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