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Visualizzazione dei post da ottobre, 2024

Il romanzo delle ore morte

Tutte queste ore morte un giorno le metterò insieme e ne farò un romanzo: il romanzo delle ore morte, voglio chiamarlo, perché non ci siano dubbi. Magari capiterà che le trovi attraenti quanto oggi mi ripugnano e allora avranno avuto un senso. Adesso no, adesso sono un libro scritto in tedesco, un film di Nolan, una manipolazione del tempo. Se provo a contare quante ne ho abitate da quando ne ho percezione viene un numero spropositato che mi suggerisce cosa avrei potuto fare, cosa sarei potuto diventare se non fossi stato con le mani in mano a compatirmi. Eppure ho viaggiato a dismisura, scritto ferocemente, amato talora con poca innocenza, e ricordo solo l'inconcludenza dei giorni vuoti, senza un sussulto. Il tedio ci si attacca più dei successi, che a un certo punto vivono per conto loro e non fanno più parte di te. La gente cosa vede? Un libro, cento parole spalmate su Facebook, foto di gioventù, il prodotto finito. Prima c'è la disperazione, che non ha mercato se non abbell

Al posto mio

Voi no? Io sì, certe volte ho paura. Ho paura del sonno, degli uccelli, di non saper vivere. Quando ho paura devo stancarmi, camminare, oppure guidare fino a che le gambe non implorano pietà, finché il mare che incontro non è più il Tirreno ma il mare greco che schiuma sopra le triremi inabissate. Lì, lontano dalle stronzate quotidiane, torno coraggioso e nel coraggio ricordo, perché anche le idee ridiventano chiare, possenti. Così mi accorgo di cose che nel brodo dei giorni mi sfuggono: la derisione dei medici, per esempio, che è un nuovo approccio terapeutico, ha sostituito il cinismo, ora i dottori ti prendono per il culo quando ti curano, fateci caso: un dente o un cancro fa lo stesso. Come so difendermi? Come posso? Mi rigiro tra le mani la domanda e intanto cerco quel ristorantino dove stemmo bene insieme, benché fossimo tutti e due di altri, un secolo fa. Non lo trovo, giro a vuoto poi eccolo là ma è in sfacelo: macerie, assi di traverso sulla porta, un senso di disfacimento, co

Una cosa sciocca

Ho vissuto tre anni e mezzo in una casa viva, dalle pareti molli, o almeno così a me sembrava quando mi addormentavo. Quel confine liquido tra sonno e veglia oggi non mi spaventa più, benché sogni ancora furiosamente: viaggi in Cile dai quali non so come tornare, donne che mi tradiscono con Frank Sinatra, giri della morte su un ottovolante che sta per precipitare. Nel viaggio breve dell'assopimento ora calcolo la distanza fra me e la felicità e ogni sera viene un risultato differente. Dipende da quel che ho fatto di giorno, se ho costruito qualcosa di ammirevole o sono stato con le mani in mano. Quando vivevo nella vecchia casa è capitato che mi svegliassi di colpo, alle tre, alle quattro del mattino, e intuissi ai piedi del letto una persona vestita come d'un drappo scuro, gli occhi fosforescenti. Erano frazioni di secondo, inganni della mente, con ogni probabilità, però lasciavano il segno e poi non sapevo spiegarmi perché il delirio si accanisse sempre con la stessa scena. A