Passa ai contenuti principali

Loro

Rincaso per una volta a mezzanotte, i vivi stanno dormendo, i morti mi aspettano allegri seduti a tavola, nella stanza del camino. Sono entrati chi dallo spiraglio di una finestra, chi da sotto il pesante portone, chi dalla cappa della cucina, chi attraverso un muro maestro, come canone impone. Ci sono tutti, hanno cucinato ogni ben di dio, come una volta, i piatti di portata son quelli coi fiorellini viola ai bordi, vanno e vengono dalle altre stanze con la leggerezza di chi non ha più pesi sulle spalle, scendono e salgono i tre scalini saltellando, la casa s'è riempita di profumi d'arrosto e pampepato. Abbiamo cominciato perché non arrivavi mai - mi dice Mara - e sai che tuo nonno ci tiene a mangiare a orario. Avete fatto bene - rispondo io - e sono un po' turbato ma nemmeno tanto. Loro, in questa stanza, vestiti esattamente come li ricordo, sono sempre stati la mia più segreta speranza: quanto ne ho scritto, di questo sogno misterioso. Gastone riempie il piatto di pasta dolce, Pietro raccoglie col coltello le briciole di torrone, Gino traffica con la graticola e la brace, Rico parla di politica, Bruna fa lo scherzo delle noci, Clara mangia lentamente, tutti fanno qualcosa che m'è rimasto dentro, come un calcolo renale, e ogni tanto come un calcolo duole e fa piangere. C'è una notte in cui i morti tornano a casa, c'è in tutte le tradizioni che conosco e io credo tornino davvero, è solo che io non li vedo, o che il sonno mi ha colto sempre prima che la festa cominciasse. Non li ho mai visti fino a stanotte: un contrattempo mi ha fatto far tardi proprio la volta che il confine si apre e loro passano per vedere come stiamo, cosa facciamo per conservare la vita. Sei stanco? Sei contento di vederci? - sembra che mi domandino. E io scoppio così tanto di felicità che niente potrà mai più rovinarla. 

Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...