Passa ai contenuti principali

Letargo



Mi rincresce di non essere un orso perché se lo fossi potrei andarmene in letargo assieme ai miei cari fantasmi nella casa in collina. Certe volte il mondo mi viene a noia, fa troppo rumore, coi suoi studenti universitari e i loro mercoledì di baccano, coi talk show e le campagne elettorali, coi raduni di motociclette e gli urletti dei tennisti, e così staccherei da tutto per una stagione, farei una grossa spesa e non mi vedreste in giro fino a primavera. A quel punto dovrei arredare la vita come si arreda un monolocale, con la sobrietà di un'indole poco pretenziosa che si fa andar bene anche le cose rimediate: le coperte vecchie, purché pulite, per cominciare sono perfette. Avrei bisogno di stare al caldo perché dove vado non ci sono termosifoni, solo un camino che non tira come dovrebbe e una stufa elettrica che ogni tanto frizza e scintilla, mettendomi sul chi vive. Ah che bella la campagna muta a confronto di queste città virulente di schiamazzo, che pace la sera quando scende spandendo latte sui campi e sembra che l'orizzonte galleggi sopra il niente. Poi avrei bisogno di libri poco di moda, candele di sego e nastri di film tenebrosi: cose romantiche, perfettamente intonate alle circostanze. E di nessuna voce, amica o nemica che sia, di nessuna frammentazione del silenzio, ma solo di quella riabitudine alla quiete che cura le orecchie e sfebbra le smanie. Vivrei così, felice e malinconico, solo e risanato, per un tempo che a chi ho lasciato in battaglia parrà smisurato e a me appena bastevole. Poi un giorno arriverà la tentazione di tornare, perché il frastuono dopo un po' manca, come l'erba a un fumatore. E allora spegnerò le candele, riporrò le coperte, lascerò segnalibri nei romanzi non finiti e tirerò il chiavistello. E la vita che alcuni dicono infestante ricomincerà.


Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...