Tutte queste ore morte un giorno le metterò insieme e ne farò un romanzo: il romanzo delle ore morte, voglio chiamarlo, perché non ci siano dubbi. Magari capiterà che le trovi attraenti quanto oggi mi ripugnano e allora avranno avuto un senso. Adesso no, adesso sono un libro scritto in tedesco, un film di Nolan, una manipolazione del tempo. Se provo a contare quante ne ho abitate da quando ne ho percezione viene un numero spropositato che mi suggerisce cosa avrei potuto fare, cosa sarei potuto diventare se non fossi stato con le mani in mano a compatirmi. Eppure ho viaggiato a dismisura, scritto ferocemente, amato talora con poca innocenza, e ricordo solo l'inconcludenza dei giorni vuoti, senza un sussulto. Il tedio ci si attacca più dei successi, che a un certo punto vivono per conto loro e non fanno più parte di te. La gente cosa vede? Un libro, cento parole spalmate su Facebook, foto di gioventù, il prodotto finito. Prima c'è la disperazione, che non ha mercato se non abbellita, che un editor riduce a un piccolo libro di pregio, e che nella narrazione diventa innocua tanto da sembrare non vissuta. Chissà se avrei avuto la forza di compiere tante ridicole imprese senza quelle ore cave come gusci d'uovo, che forse mi son servite per lavorare d'immaginazione, ingaggiare il dolore e farlo recitare a buon mercato, scappare dalle trappole della tranquillità. Se ci ragiono a questo modo, ecco che le trovo meno abominevoli, perfino necessarie, e lo scrivo sperando di dar loro sui nervi. Le ho odiate, mi hanno sottomesso, le ho combattute senza convinzione. E però giuro che a dispetto della volontà che le ha animate mi sono tornate utili, e han dato, a loro insaputa, frutti saporiti.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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