Per dieci anni tutte le mattine, andando in radio, ho incontrato una ragazza con un cane al guinzaglio. Un cane di piccola taglia che si chiama Ugo - l'ho sentita chiamarlo, qualche volta, con voce graziosa. Un giorno era vestita leggera, perché incominciava l'estate; un altro teneva i capelli raccolti in un elastico, perché l'estate finiva. Quand'era struccata, appena alzata dal letto, trattenendo uno sbadiglio, sembrava innocente, perfino vulnerabile. Ho sempre avuto un debole per le persone così, le corazze non mi piacciono, tengono a distanza. La mia fragilità si è trovata a suo agio con la loro, e sono venute fuori belle storie. Per dieci anni io e la ragazza col cagnolino ci siamo incrociati, guardati in faccia, abbiamo abbassato gli occhi e qualche volta siamo arrossiti. Una mattina le ho detto Buongiorno, perché non passava nessuno. Ha risposto pudica allo stesso modo, ha sorriso ma guardando per terra, poi io sono salito al lavoro e lei ha affrettato il passo. Ha quel nulla di appariscente che la rende incantevole, non ha niente di quella bellezza grossolana che piace a certi uomini e naturalmente non ho idea di come si chiami. L'ho guardata invecchiare impercettibilmente, un mattino dopo l'altro, e lei avrà visto i miei capelli farsi più grigi a ogni stagione, mi avrà letto in faccia le notti in bianco, e quando avevo fatto l'amore con la tristezza, ed ero vinto eppure mi ruggiva dentro una qualche combattività. Ci siamo frequentati per tremila giorni ma una manciata di secondi alla volta, e forse è quello che dovrebbero fare tutte le persone che si innamorano: vedersi sempre ma pochissimo, così da non esser mai sazi, e vivere ogni santo giorno solo per quel mezzo minuto di felicità. Finché una mattina di settembre me la trovai sulla porta della radio, che mi aspettava. Domani mi sposo - disse, e aggiunse Mi dispiace. Andò via, misteriosa, e non l'ho incontrata mai più.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
Il tuo post ha risuonato con me! Il tuo stile di scrittura è accattivante. Non vedo l'ora di vedere altro da tetu. Sperimenta il meglio di Aviator attraverso il nostro blog.
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