Per dieci anni tutte le mattine, andando in radio, ho incontrato una ragazza con un cane al guinzaglio. Un cane di piccola taglia che si chiama Ugo - l'ho sentita chiamarlo, qualche volta, con voce graziosa. Un giorno era vestita leggera, perché incominciava l'estate; un altro teneva i capelli raccolti in un elastico, perché l'estate finiva. Quand'era struccata, appena alzata dal letto, trattenendo uno sbadiglio, sembrava innocente, perfino vulnerabile. Ho sempre avuto un debole per le persone così, le corazze non mi piacciono, tengono a distanza. La mia fragilità si è trovata a suo agio con la loro, e sono venute fuori belle storie. Per dieci anni io e la ragazza col cagnolino ci siamo incrociati, guardati in faccia, abbiamo abbassato gli occhi e qualche volta siamo arrossiti. Una mattina le ho detto Buongiorno, perché non passava nessuno. Ha risposto pudica allo stesso modo, ha sorriso ma guardando per terra, poi io sono salito al lavoro e lei ha affrettato il passo. Ha quel nulla di appariscente che la rende incantevole, non ha niente di quella bellezza grossolana che piace a certi uomini e naturalmente non ho idea di come si chiami. L'ho guardata invecchiare impercettibilmente, un mattino dopo l'altro, e lei avrà visto i miei capelli farsi più grigi a ogni stagione, mi avrà letto in faccia le notti in bianco, e quando avevo fatto l'amore con la tristezza, ed ero vinto eppure mi ruggiva dentro una qualche combattività. Ci siamo frequentati per tremila giorni ma una manciata di secondi alla volta, e forse è quello che dovrebbero fare tutte le persone che si innamorano: vedersi sempre ma pochissimo, così da non esser mai sazi, e vivere ogni santo giorno solo per quel mezzo minuto di felicità. Finché una mattina di settembre me la trovai sulla porta della radio, che mi aspettava. Domani mi sposo - disse, e aggiunse Mi dispiace. Andò via, misteriosa, e non l'ho incontrata mai più.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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