Quando la sera esco per andare a teatro, o per scherzare con la mia ombra e i marciapiedi e le piazze galleggiano nella nebbia, e in giro non c'è nessuno, qualche volta ripenso al tempo in cui - ragazzino - credevo che il mondo smetteva di esistere appena non lo guardavo. Divenne una discreta ossessione, verso i nove o dieci anni. Mi convinsi che era tutto un inganno - casa mia, la città - e che mio padre, mia madre, la gente, gli amici, non fossero altro che attori scritturati per intrattenermi, ritenendo impossibile che altri potessero vivere, morire, giocare a pallone, andare di corpo, lontano dal mio sguardo. Non so se nella psicologia infantile c'è un termine per definire questa pazzia, so che faticavo a farmi capire dai miei, che minimizzavano, cambiavano discorso, e quando io, strepitando, giuravo loro Non esistete! Non esistete! rispondevano Ma come non esistiamo? Che vuol dire? Mi sentii orfano. La notte era una tragedia: avevo paura ad addormentarmi perché nel sonno...
Sdraiato sui binari: diario di bellezze malsincere in attesa del treno. Sperando che porti ritardo.