Se un giorno vi va vi
porto a guardare la luce nella mia città di mare. Mia beninteso e di nessun
altro, perché quando un narratore si innamora, le meraviglie di cui si
invaghisce diventano soltanto sue, eccezion fatta per le donne, che sono fiere
e indipendenti e mangiano in testa perfino agli uomini senza sogni, figuriamoci a lui. Bisogna
arrivare a una certa ora che non è ancora notte e non è più giorno: solo
in quel momento la luce ha quel colore di carta cenerina che non scorderai più.
Galleggia tra le facciate dei palazzi e penetra nelle cose che ti porti dietro
- nei libri, nello zaino che hai comprato dall'Assassino - e capita che per
qualche minuto ti dimentichi di tutte le guerre del mondo, personali e
collettive. La vedi sospesa sul mare poi, se guardi verso l'orizzonte, ma prima
che faccia del tutto sera, quando le barche scrivono righe bianche sull'acqua tornando a riva. Ho raccontato questa città e le sue rifrazioni tutte le
volte che ci son capitato e perfino altre che il viaggio era solo un desiderio,
venendo teneramente a noia a voi che m'accompagnavate, dolci ragazze che siete.
Una perversione che dev'essere cominciata quand'ero a mia volta ragazzo ma di
cui mi son reso conto da adulto, a scoppio ritardato: forse era silente, come
certi malanni che covano dentro per un sacco di tempo e tu non lo sai. Via
delle ancore e la sua dirimpettaia - via del vascello - furono il palco della mutazione il giorno in cui, a sedici anni, intinto in quella luce
sbavata, mi accorsi del potere fatale della malinconia. Sì, fu come intuire un
destino, mi tocca confessarlo, anche se non vorrei metterla giù tanto grave.
Seria però di sicuro, e lo divenne col tempo, quando da marito e padre trovai
che quella tenerezza asprigna poteva essere raccontata e scritta in un modo persino grazioso, e così fermata per sempre. Tutto questo per dire che vorrei
foste davvero convinti, quando partiremo insieme: il viaggio è un viaggio verso
la bellezza come non l'avete mai vista. Al ritorno, può darsi salti il ghiribizzo
anche a voi di fare gli scrittori: dopo non dite che non vi avevo avvertiti.
Valerio, avevi ragione, dovevo lasciar andare. Ti ricordi che ne parlavamo? Io trattenevo, aggiustavo, incollavo. Tu dicevi "Sei stato bene con quella ragazza? Basta, non cercarla, non chiamarla". Oppure "Ti manca tuo padre, ne hai nostalgia? No, non darle retta, via, è finita". Dicevi che dovevo conservare la memoria ma senza ogni volta inseguire il passato: io ho sempre pensato che le due cose fossero inseparabili, mi hai aperto gli occhi. Così faccio con le case che ho abitato: non le guardo più le fotografie, che si secchino pure dentro gli armadi. Lasciar correre, lasciare indietro. Un suggerimento sensato, così facendo uno mette a posto il disordine delle stanze, ma si vive meglio in un ambiente in cui tutto è dove deve stare? A questa obiezione facevi spallucce, una finta di corpo - come quando giocavi mezz'ala e io al centro dell'area aspettavo il tuo cross per segnare - e uscivi dal bar. Forse pensavi Che testa di cazzo , ma con tenerezza, perché ma...
La tenerezza asprigna….in due parole, un universo. …
RispondiEliminaGrazie, mi fa piacere che tu abbia notato quell'apparente paradosso.
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