Una donna legge un libro su una panchina dei giardini, coi piedi sul bordo d'una grande fontana circolare davanti alla quale da universitario preparai Antichità medievali. Un ragazzo arabo ride e parla al cellulare con la fidanzata, è felice cogli occhi e non vede dove cammina, come io in un'altra vita. Un'altra donna, che è stata maestra di mia madre e quindi va per i cento, procede impettita coi capelli fatti, e quando le sono davanti mi fissa e mi fa Ma tu non sei Francesco? Allora è vero che sei tornato. Ha questo di bello, la città mia: che se fai una cosa lo sanno tutti, e ne parlano col telefono senza fili, e spesso lo sanno prima che tu la faccia, talora prima che tu la pensi. Tornare a vivere dove uno è nato credevo fosse solo un gesto cantato nelle canzoni, e perciò impossibile da compiere. Invece pur per una strada tortuosa che m'ha spezzato il fiato, ora sono qua: mi vedete? E stare qua mi suggerisce altre storie, e scusate se rubo le vostre posture pensose mentre leggete tutti rapiti i romanzi americani, o le parole d'amore di una lingua spinosa che non conosco, e le racconto. Rubare è la cosa che mi viene meglio, e qui, nella mia città, rubare si sposa con la tenerezza delle sere d'aprile, quando mio padre chiusa la tabaccheria mi diceva Allunghiamo fino al Pincio, che la montagna è così bella con l'ora legale, e parlava con me come non aveva mai fatto e non avrebbe fatto più. Anche quella memoria è un furto, perché era in una scatola di famiglia, ma forse dovrei smetterla di sentirmi in colpa per un reato così innocente che andrebbe derubricato, e il motivo che lo innesca incoraggiato nelle scuole di scrittura. Rubare le malinconie passanti, le malefatte giocose, gli screzi dei gatti, le baruffe degli innamorati è quello che fa il narratore, assieme al vilipendio giocoso della sua memoria. Che nella città sua gli viene che è una bellezza, e per questo non abiterebbe altrove, per tutto l'oro del mondo.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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