Placo l'irrequietezza al mare, dove al contrario molti dei miei amici diventano furibondi. A me, per paradosso, m'addolcisce, e tutto si fa più sopportabile, compresi l'ipocondria, gli inganni e la colite. Così stamattina ho lasciato un'amica a poltrire e sono uscito sulla spiaggia, a cercare nostalgie d'altri tempi incastrate dentro vacanze d'altre vite. Laggiù baciai una donna, proprio dove quello sperone di roccia taglia in due le onde, e fu l'unico bacio che ci demmo; più in qua, a una bancarella che aveva le zampe nell'acqua, comprai Il mondo alla fine del mondo, e per qualche notte Tarquinia divenne una riva cilena e un covo di contrabbandieri. C'era un bar che apriva la mattina presto, nel '96, e c'è ancora, e la ragazza che lo gestiva s'è fatta adulta, bella d'una bellezza niente affatto sfiorita. Sono entrato con una fame da lupo: a un tavolino d'angolo un uomo anziano, con un panama calcato di tre quarti, mi ha guardato mangiare a volontà, poi con calma s'è alzato, avvicinato, presentato. "Non so se lei ha voglia di sentire una storia eccentrica" - ha detto - "ma io devo per forza raccontarla a qualcuno, altrimenti non si avvera". Ho risposto che vado matto per le storie eccentriche e che talora mi capita di scriverne, ma che avevo i minuti contati. "Allora la faccio breve" - ha ribattuto innocente. "In cambio della sua pazienza, permetta che le offra la colazione". Mi ha rivelato che una volta all'anno, verso la fine dell'inverno, viene al mare e azzera tutti i conti in sospeso. Quando gli ho chiesto di spiegarsi meglio - perché ero ormai al laccio della curiosità, a dispetto di chi m'aspettava in albergo - ha precisato che quel gesto gli permette di resettare tutto: incomprensioni coi figli, scazzi con la moglie, travasi di bile per un parcheggio rubato, telefonate di marketing, risonanze magnetiche, guerre, naufragi nel Mediterraneo, pandemie. "Vengo quaggiù, mi fermo un paio di giorni, compro il giornale, fumo un po' d'erba, raccolgo conchiglie, mangio una frittura di pesce, e quel che è sospeso cade, si scioglie, è come se non fosse mai esistito. Poi appena a casa ricomincia, la parte seccante della vita non la cancelli mai del tutto, ma a intervalli di dodici mesi riesco a tenerla a bada, impedire che cresca troppo, diventi imponente e mi divori". "Questo fa di lei un uomo libero" - ho osservato, e lui ne è parso ammirato, tanto che prima che me ne andassi ha aggiunto: "Nessuno lo aveva mai notato: se tra un anno ripassa da queste parti, ci berremo assieme una bottiglia di Garnacha. Dicono sia un vino che più d'altri incoraggia la confidenza, e sleghi le parole prigioniere".
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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