Senza avvisarlo, vado a trovare un amico che - mi ricordo - aveva un negozio di rigatteria a Todi. Ci comprai alcune cosucce carine, eccentriche come lui: un samovar e una lampada giapponese, forse nel 2010. Non lo sento e non lo vedo da quattro o cinque anni, si era innamorato di un mio romanzetto, mi scrisse, ci conoscemmo, andai a presentarlo nella sua bottega: sparse tra un becco di Bunsen e una balalaika, nel festoso casino che c'era, vennero più di quaranta persone. Insomma, piglio su e salto in macchina, copro in scioltezza i 48 chilometri che separano Narni da Todi e una volta a destinazione parcheggio alla base di quella dannata città verticale, e m'arrampico. A metà mulattiera ho già il fiato corto, faccio una sosta, bevo una gazzosa in un bar di ubriaconi e mi guardano tutti male. Riparto, la coda tra le gambe. L'antro del mio amico sta proprio in cima, in una viuzza dietro il palazzo del Capitano, dove vidi una mostra di foto di Cartier-Bresson il giorno prima di una colonscopia, tanto che paura e bellezza quella volta si mescolarono insieme e ne sortì un'emozione gustosa, da narratore. Finalmente, con le gambe molli, arrivo davanti alle sue vetrine: l'interno è vuoto, polveroso, la porta sprangata. Sul vetro c'è un cartello sobrio, lettere nere in campo bianco: Chiuso per tutto. Mi vien da ridere e mi spavento. Qualcuno è morto - spero non il mio amico - e qualcun altro ha sbagliato a scrivere il necrologio. Ma cacchio, possibile che prima di attaccarlo non se ne sia accorto? Giro un po' là attorno: la sera, da gaia, si fa improvvisamente triste. Sono tentato di telefonargli, ho ancora il suo numero in rubrica, ma se poi è morto per davvero che figura ci faccio con chi mi dovesse rispondere? Un caramellaio sull'uscio di una dolceria traboccante mi squadra: deve aver intuito il mio smarrimento. "Sta cercando Cosimo?" - mi domanda. Gli dico di sì e lui "Beato chi lo trova, quello. Dopo trent'anni prigioniero dentro questo vicolo ha deciso di girare il mondo". Spalanco le orecchie, la storia si fa interessante. "Ma il cartello - protesto: - il cartello che diavolo vuol dire?" L'uomo mi guarda stupito e sembra compatirmi: "Non ci arriva da solo? Cosimo ne aveva abbastanza di non sapere niente di quel che succede là fuori, di non aver visto mai niente, di conoscere la gente solo attraverso le cianfrusaglie di cui si disfa. Così ha fatto le valigie ed è andato via. Per tutto, per conoscere tutto, per avvicinarsi a tutto quello che non ha mai esplorato. Ha chiuso perché il desiderio del tutto è stato superiore a quello del niente che avrebbe assecondato restando qui". Mi viene un sorriso, che è anche un'approvazione incondizionata: avessi anch'io il coraggio di fare lo stesso. E a quel punto, recuperando il suo spirito da commerciante, il caramellaio mi fa: "Ma perché non entra un momento? Venga, non sia timido. Ho delle praline panna e caffè che sono una bontà".
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
Una pralina panna e caffè per chiudere in dolcezza la serata.
RispondiEliminaSerena notte
Aveva ragione lui: erano davvero squisite. Ci tornerò.
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