Mi hanno detto che dovevo amarti e per non farmelo dimenticare me l'hanno scritto nel Dna. Così adesso non posso sottrarmi e la vita che ne deriva è atroce e piena, talmente colma che posto per altro non c'è. Questo è l'amore che posso darti, ragazza che eri bambina e prima ancora una pancia prominente, un amore che non ho scelto, non ho voluto, ma quando l'ho avuto ho scoperto che se ne fossi stato escluso lo avrei desiderato più di qualunque altro. Perdonami se sono contorto, non riesco oggi a scrivere più chiaro, non c'è niente di lineare in questa storia umana che è tutta nel rapporto tra noi due, che siamo teneri nemici. Sta, tutto il mondo che conosco, tutti i suoi sentimenti arditi, in questo contenitore che siamo io e te: lotte, guerre, battaglie, scaramucce, riappacificazioni, incomprensioni, tenerezze, ripicche, confidenze, pianti, strepiti e allegria. E fame, e sete, quando non ti vedo tornare, che la fame e la sete vere sono sciocchezze. E ansia e paura, quando ti intuisco storta, cupa, quando stai male, che l'ansia e la paura degli uomini che giocano col denaro, di coloro che amano semplicemente un altro uomo o un'altra donna, sono commedia dell'arte. So cos'è la dipendenza da quando sei al mondo, io che la dipendenza da polveri e vino non so cosa sia. So cos'è l'infinito: è il tempo che corre tra un mio messaggio e la tua risposta. Certe volte riempio il frigo e tu mi rimproveri: Compri troppe schifezze. Guarda qua: tramezzini, Kinder Bueno e Babybel, epperò sai che è una premura, un viziarti di leccornie, perché io sono padre e madre e devo fare tutte e due le parti, e poi frutta e verdura, pasta, carne e tutto quel che serve non mancano mai, tanto che casa nostra sembra il tabellone de Il pranzo è servito. Insomma Sei la mia vita e non è un modo di dire, ed è l'amore più umano che conosca, frangibile come la speranza, ma ugualmente testardo, anche se è al vento, alle intemperie, e perfino se è un amore interessato: a voler essere cinici è anche spirito di sopravvivenza perché qualsiasi tuo guaio sarebbe la mia fine.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
vengo poco, ultimamente, nel tuo blog, perché ogni volta piango, e dove ho il pc ho sempre gente intorno. Cercherò di leggerti sul cellulare. Perché nel piangere, di tanto in tanto, che male c'è.
RispondiEliminaNessun male. Ma vieni più spesso: ti aspetto.
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