Papà la domenica era di buon umore, mi mostrava il buon umore in quel modo: una volta alla settimana. Prendeva e usciva, ma prima si radeva per bene e se era davvero contento, non solo ilare, si metteva una cravatta di lana e una giacca che non ci diceva un gran che. Lo aspettavo a casa, avevo sette, otto anni. Andava e sembrava non tornare mai, sostava in piazza coi suoi amici neanche quarantenni, oggi morti o decrepiti, e questo dà la misura del tempo, che è un fantastico ingannatore. La domenica papà aveva le mani bucate, oltre al buon umore, e anche questa era una stravaganza settimanale, una vacanza non so quanto consapevole dalla parsimonia. Tornava col Messaggero, Epoca, le figurine degli animali, e si metteva a leggere in poltrona, come pare facessero milioni di italiani la domenica verso l'ora di pranzo. Fuori, per la strada, sui treni, sugli aerei, ammazzavano la gente come fosse un film e io attaccavo l'ornitorinco e il fennec, stando attento a restare nei bordi. Nei bordi ci sarei stato poco, da lì in avanti, sempre sghembo, innamorato di cose impopolari, di ragazze di quieta disperazione. Tuttavia la domenica il tempo era rallentato, e io non avevo paura di crescere troppo presto. Il pomeriggio diventava già una sorta di fine festa, specie d'inverno. Papà tornava il consueto uomo muto e irridente, più passavano le ore e più la prospettiva della tabaccheria lo straniva, e di rimando io me ne tenevo alla larga, cercavo stanze vuote nella grande casa fredda dove sì, avevo paura dei sospiri dei morti, ma dove non poteva incolparmi di nulla, tranne che di una stranezza compagna alla sua. Ho costruito mestieri insignificanti sulle parole, dopo, per riuscire a mostrargli chi ero, qualunque cosa fossi. La prima volta che mi ascoltò in radio era domenica, per una bizzarria del caso. Mi disse che non credeva fossi così bravo, e che ne sapessi così tanto su certe canzoni che aveva sempre deriso, quando avevo provato a fargliele ascoltare.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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