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Sette vite

Vorrei avere altre sei vite, oltre quella presente, come il gatto che incrocio scendendo per via Aspromonte, e che mi guarda sospettoso, chiede da mangiare e se ne va quando vede che non ho niente. In una vorrei essere lo scrittore che non sono, più lucido, più spietato, che non giri intorno alle cose ma le centri con la mira del Sagittario, che sia capace di farti innamorare, amica mia, e non abbia bisogno di scrivere per curarsi, e lo faccia invece solo per capriccio. In un'altra vorrei essere un ministro, quello della gentilezza, vorrei proporre una museruola per tutti quelli che in tv si insultano, sbraitano, come ha cominciato a fare Sgarbi quarant'anni fa, cattivo esempio se mai ce n'è stato uno, per questo povero popolo. In una terza vorrei essere un filosofo, vorrei scrivere un libro sulle idee, dimostrare che non sono tutte uguali, e che se tu sei un Borgonovo, un Feltri, un Capezzone, un Sallusti, e pensi che le idee razziste, misogine, ciniche, miopi che hanno partorito questa Italia di oggi abbiano lo stesso diritto di essere espresse delle idee di pace, uguaglianza, tolleranza, allora sei in errore, e che per amor di civiltà, per non incoraggiare la barbarie, per il bene comune, per l'educazione morale, sarebbe opportuno impedirti di esprimerle. In un'altra vita ancora, la quarta, vorrei essere un muratore, per provare la fatica che cosa sia, non questa stupida stanchezza delle dita di cui mi lamento quando vado a letto presto, e per costruire una casa, e lasciare, quando sarà, una testimonianza più consistente delle mie trascurabili parole. Nella quinta vita sarei uno di Emergency, uno di quelli che hanno in conto la vita degli altri più della propria, che prendono una goletta e partono per l'Africa e lasciano a terra tutti quelli che parlano senza mai agire, che scrivono libri di resistenza senza resistere mai. Nella sesta, l'ultima, vorrei vivere un'altra volta la mia vita, costringere mio padre a chiedermi scusa, chiedere scusa a mia moglie per quando le ho mostrato irritazione, stanchezza, e prendere a pugni in seconda media quel coglione di Trombin prima che lui mi derida davanti a tutta la classe. 

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C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

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