Cosa vuol dire andar via, quale coraggio ci vuole. Non solo a parlarne, proprio a tagliare la corda. Scappare ha un che di romanzesco perché qualcuno ti verrà dietro, per imitarti o per convincerti a tornare a casa, scappare ti trasforma in personaggio, ti garantisce l'immortalità. Scappare. Ma anche a restare nel campo da gioco infernale di questo tempo immondo ci vuol coraggio. E a fidarsi di te, a credere che mi vuoi bene quando le apparenze sono contrarie, a tener dietro alle parole strane che dici, un giorno d'amore un altro di derisione. Io mi fido delle mie, di parole, ma neanche tanto, perché anche loro possono diventare un inganno, magari in buona fede. E sono costretto a fidarmi di quelle degli altri sennò resto senza voce: ogni parola che scrivo ha parole madre e parole padre, è un problema di attendibilità. Tutte le mie idee sono la conseguenza di narrazioni di altri, non ho quasi mai verificato di persona se le cose alle quali si attaccano accadono davvero e se pur accadendo accadono come mi raccontano. Vale lo stesso per te, la narrazione che mi fai del tuo amore sarebbe quella di un amore accettabile se fosse vera fino in fondo. I suoi giorni orrendi e l'insofferenza che talora proviamo l'uno per l'altra, sarebbero un prezzo ragionevole, se non ci fosse dell'altro. C'è sempre dell'altro, io temo, ed è questo che ci impedisce di guardare con chiarezza l'orizzonte. Funziona così la narrazione anche per le cose della politica, i suoi cantori adottano il sistema delle relazioni di coppia: raccontano i fatti dal loro punto di vista, incapaci di una visione plurale e allora per esempio Kirk, quel tipo di cui non conoscevo l'esistenza fino a che non gli hanno sparato, in America, diventa una vittima il cui nome va stampato sulle magliette oppure uno che se l'è cercata. Io propendo più per la seconda ipotesi, ma è un intuito, la scarsa simpatia che provo per le sue idee per come me le hanno raccontate, anche se la certezza che fossero davvero soltanto quelle che ho letto e sentito non ce l'ho, come nelle mie faccende d'amore. Così scappo, vado via, mi faccio fantasma. Finché non inventeranno un sistema che renda esatta oltre ogni ragionevole dubbio la narrazione umana.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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