Tutte le volte che vado via da questa casa, tiro i fermi delle persiane, chiudo il cancello e scendo in città, mi pare che qualcuno mi spii dalle stanze buie, e immagino si chieda quando tornerò, che già sente la mia mancanza. Per questo lascio un sospetto di me sopra una mensola, accanto al camino spento, dietro i racconti di Neil Gaiman, dentro l'armadio d'inverno. Un foglio scritto a matita, una bacca di ginepro, una bottiglia di Campari mezza bevuta e mezza da bere, una camicia grezza buona per i mesi freddi. Intanto che non ci sono, quelle povere cose, briciole di me, fanno compagnia a chi aspetta. Semino oggettini come un assassino maldestro semina indizi sul luogo del delitto, ma con maggior consapevolezza. Quando torno, torno perché sono innamorato. Di questa casa oscura e gaia, dei misteri che conserva, della luna quando di notte colora la radura della sua luce cinerea. E di questo tempo, e delle persone che lo abitano, che dio le benedica. E quando torno è per scrivere in santa pace: un fine settimana, due ore, un pomeriggio intero, quello che serve. Tra le qualità di mio padre - questa casa racconta di lui in ogni angolo - c'era l'approvazione muta della mia indole, così divagante e così poco adatta alle cose pratiche. Non perché quando mi sia trovato a farle non le abbia fatte con buoni risultati, ma perché ho sempre sospettato che togliessero spazio alle altre, quelle per cui vale la pena vivere. Vale la pena vivere, ad esempio, per essere innamorati e poterne scrivere a dismisura, come in un messaggio cifrato però, vale a dire senza che si possa capire di chi stai parlando. Oppure per non smettere di combattere, non cedere alla rassegnazione, non adeguarsi alle parole ordinarie di tanti ma mantenendo vive le proprie. Come quelle che per esempio mi sono ritrovato a mettere in certe storie nuove di zecca che mi farebbe piacere leggeste e che, se per caso ne foste curiosi, trovate qui: https://www.amazon.com/dp/B0FP2VZLVM?ref_=pe_93986420_775043100
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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